Alessandro Boschi
La discussione sul film di Iñárritu

La critica renziazionaria

Come previsto, Birdman ha sbaragliato tutti nella notte degli Oscar. Forse è merito della sua capacità di "prevedere" i gusti del pubblico. Tra populismo e paternalismo

Come avevamo previsto, Birdman ha fatto il pieno. Miglior film, migliore regia e migliore sceneggiatura originale testimoniano ampiamente il successo di Alejandro González Iñárritu. Che il film non ci avesse convinto lo avevamo scritto in tempi non sospetti (clicca qui per leggere la recensione), quando già si prefigurava l’avvenuta apoteosi. Eravamo sicuri dell’Oscar perché nutrivamo nei confronti del film riserve molto simili a quelle che ci aveva suscitato La grande bellezza di Paolo Sorrentino. E infatti. Avevamo anche previsto l’Oscar a Eddie Redmayne per La teoria del tutto, nel quale l’attore impersona l’astrofisico britannico Stephen Hawking. A parte Leonardo DiCaprio per Buon compleanno Mr. Grape per il quale ricevette la candidatura come migliore attore non protagonista, non c’è stato attore o attrice cui il ruolo di un personaggio afflitto da una qualche disabilità non abbia fruttato l’Oscar. Detto questo il premio a Eddie Redmayne conferma che dopo la pietas di Enea dovremmo iniziare a parlare della pietas dei giurati dell’Academy. È sempre forte la sensazione che più che la performance dell’attore si voglia premiare, meglio, risarcire, i portatori di disabilità. Tutti i portatori di disabilità. Il paradosso è che ruoli come quelli interpretati in passato da Daniel Day-Lewis, Il mio piede sinistro, oppure da Nicole Kidman in The Hours, che la diversità se la fece mettere sul naso, sono a nostro avviso molto più semplici. E questo perché gli attori si permettono tante di quelle “scaccolature” che altrimenti sarebbero censurate. Lì, nella diversità, tutto è concesso, perché è territorio minato, nessuno può permettersi di dire nulla. Tra i cinque candidati non ce n’è uno cui il giovane Eddie sia degno di allacciare le scarpe. Scarpe di scena, ovviamente. Il nostro preferito, a parte Benedict Cumberbatch il cui ruolo purtroppo non aveva la disabilità giusta, era senza dubbio Steve Carell, protagonista di un film che presto vedremo nelle nostre sale, Foxcatcher. Andate a vederlo e poi ditemi, e magari recuperatelo in lingua originale. Su Julianne Moore, che pure ha vinto la statuetta per il ruolo di una malata di Alzheimer in Still Alice, mi prendo la responsabilità di dire che nulla si può dire, non tanto perché altre nella cinquina  non meritassero quanto lei, ma perché qui si tratta davvero di una attrice bravissima. Come la nostra Milena Canonero, premiata per il suo lavoro di costumista in Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, che la nostra ha avuto la grandezza e l’umiltà di ringraziare sentitamente. Come dice Vittorio Gassman ne I mostri, nell’episodio intitolato Testimone volontario «mi pare che gli abbiamo dato una buona sistemata». Agli Oscar, intendo.

birdman3Adesso però ci preme rispondere alle interessanti osservazioni di Paolo Petroni sul nostro pezzo dedicato a quella che avevamo definito la “sorrentinità” di Birdman, ovvero quella insopprimibile tendenza all’assoluto che registi come Iñárritu e Sorrentino stesso spesso manifestano. In realtà Paolo Petroni (clicca qui per leggere il suo articolo) non parla di qualità cinematografiche più o meno riconosciute, ma dell’oltre, del più oltre, come avrebbe detto Stefano Satta Flores/Palumbo in C’eravamo tanto amati. E questa citazione per dimostrare che il cinema, che spesso sfugge a considerazioni estetiche, è di fatto un rimando a se stesso. Ma per definizione anche una metafora del reale. Osservazioni naturalmente legittime, ma a mio avviso più nei presupposti che nelle conclusioni (ammetto che l’incipit dell’articolo in questione dove mi si definisce «critico acuto e intelligente» fa sì che la mia simpatia nei confronti dell’estensore diventi assoluta). Va infatti detto che risalire a «cosa ha bisogno, di cosa ha fame la gente in questo momento» attraverso lo studio di questi film mi sembra azzardato. La ricerca dell’assoluto, necessaria per Petroni, nasconde, nemmeno troppo bene, la presunzione di sapere non di cosa abbia bisogno la gente, ma cosa possa piacergli. Seguendo la stessa logica potremmo paragonare, consideratone il successo anche tra i più giovani (che comunque non conoscono nemmeno una poesia di Leopardi a memoria), il film di Mario Martone a un cinepanettone. E non chiedetemi chi ci perderebbe nel confronto. Siccome sono convinto che le esperienze non si comunichino (sennò i rapporti umani sarebbero perfetti o comunque migliori da secoli), credo che nemmeno il cinema abbia una formula vincente, e che il successo o l’insuccesso di una pellicola dipenda spesso da quell’alchimia miracolosa e misteriosa che le stesse proiezioni test non riescono a determinare. Il gradimento, personale, è poi un’altra cosa ancora.

C’è poi nell’articolo che ci riguarda il riferimento a Salvini, quello della Lega, che Petroni chiama solo per cognome, ignorando il nome che così, a occhio, lo avvicinerebbe in qualche modo ad un altro Matteo verso il quale il nostro amico sembrerebbe nutrire una diversa considerazione. Io, io sottoscritto, credo che tutte le analisi politiche trasudino un po’ di quell’assoluto cinematografico, e ci dimostrino quanto sia da noi ancora in pratica, oltre allo spregevole populismo dei “mattei”, il paternalismo o, come meglio dicono gli inglesi “patronizing”: ovvero quella pratica discutibile di trattare il prossimo con una apparente  gentilezza tradendo un evidente senso di superiorità (anche se, sono sicuro, questo non è il caso di Paolo Petroni).

Ho sempre paura delle analisi che scendono dall’alto, da qualsiasi parte provengano, analisi che studiano e presumono, ma che in realtà decidono, stabiliscono cosa vada bene per noi (in realtà per loro), specialmente in un momento in cui non si riesce a distinguere cosa sia vero o cosa sia falso. Pur non essendolo mai stato, sono nato democristiano, e la prospettiva di morire “renziazionario” non mi attrae per nulla. Piuttosto mi chiudo in un cinema, e mi rivedo Birdman e La grande bellezza a loop.

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