Nicola Fano
Dopo la vittoria di Syriza

Siamo tutti Tsipras?

Per sei mesi saremo tutti Tsipras come per sei giorni siamo stati tutti Charlie: in cerca di identità perdute, tutto va bene. La sinistra ha bisogno di leader e azzardi e veri sogni: speriamo che il leader greco si sbrighi

State tranquilli, noi non saltiamo sul carro del vincitore (greco). La questione è un’altra. Per sei giorni siamo stati tutti Charlie, adesso per sei mesi saremo tutti Tsipras. Purché qualcuno ci presti quell’identità che non abbiamo più. Il guaio è che la sinistra ha bisogno di speranza per sopravvivere; anche qui da noi. E, allo stato dei fatti, non ci resta che sperare che Tsipras sappia darci, se non altro per contagio, questa speranza. Se conoscete la Grecia d’oggi ne sapete il quieto senso di superiorità che le deriva dall’avere una storia lunga e importante nella quale tutti i greci si identificano (è la loro identità, almeno quanto l’antichità non è la nostra): per questo si può immaginare che Tsipras sappia che cosa rappresenta per l’Europa, forse più ancora che per la Grecia medesima.

Cominciamo col metterci d’accordo. Che cosa vuol dire “sinistra”, oggi, dopo che gli schiacciasassi – i “revisionisti” – del conservatorismo hanno predicato per decenni la fine della differenza storica tra destra e sinistra? Credo che la differenza esista ancora: chi si professa o si sente “di destra” in genere non s’assume responsabilità nei confronti degli altri; alcuni (dico alcuni, non tutti) di coloro che si professano “di sinistra” riescono ancora ad assumersi responsabilità nei confronti degli altri. Questa è la differenza. Marginale, ma non è poco. Escludo, per intenderci, che i governanti delle nazioni forti europee si siano assunti delle responsabilità concrete nei confronti dei Paesi europei maciullati dalla crisi finanziaria esplosa nel 2009. Quando lo hanno fatto (la Germania, la Gran Bretagna, la Polonia) lo hanno fatto solo perché nella crisi degli altri hanno identificato un possibile rischio per il proprio mercato. Se greci, spagnoli e italiani non comprano più automobili né elettrodomestici tedeschi, le fabbriche tedesche o si mettono a competere con quelle cinesi o vanno a picco: tutto qui. Meglio fare qualcosa perché greci, spagnoli e italiani comprino macchine ed elettrodomestici tedeschi, si sono detti.

Ebbene: che il Comunismo, così come è stato praticato nei paesi dell’ex impero sovietico, sia fallito, credo sia indubitabile. Il Comunismo presuppone che gli uomini siano buoni, ossia che tutti vogliano il bene di tutti: non è così. La ragione del suo fallimento è che partiva da una premessa sbagliata. Ma, malgrado le ossessive predicazioni di quella filiera di profittatori che sono stati Thatcher, Reagan, Bush sr e jr, Aznar, Berlusconi, e via dicendo (chi in malafede, chi in buona fede, forse) anche il Capitalismo è fallito. Esattamente così come aveva previsto Marx, il Capitalismo ha divorato se stesso: puntando ad accumuli di ricchezze sempre più grandi, i profeti maligni di quel sistema sociale hanno allargato le frontiere del mercato fino a creare la cosiddetta globalizzazione. Uno spazio virtuale dove si è sviluppata quella che gli esperti chiamano la finanza globale: ossia ciò che nel Terzo Millennio ha divorato le società capitalistiche nate e prosperate tra Ottocento e Novecento. Eppure questo non sarebbe nulla se la globalizzazione, che poi non è altro che un allargamento a dismisura del cosiddetto “mercato libero” teorizzato da Adam Smith, non avesse reso vana anche la politica. Nessuna soluzione politica può essere adottata su un fronte globale. Per dire: i diritti dei lavoratori in Occidente non valgono per quelli d’Oriente. E se anche varranno un giorno per quelli d’Oriente, ci sarà sempre qualche altro pezzo di mondo che produrrà a costi minori eludendo i diritti basilari di chi lavora e invadendo il mercato globale di prodotti a bassissimo costo che tutti saremo indotti a comprare, a Oriente come in Occidente. È la globalizzazione. E non date retta a quei furbetti d’Occidente che oggi progettano di andare a Dubai o a Abu Dhabi a fare soldi semplicemente perché lì nessuno si vergogna di sfruttare il prossimo fino a porlo in schiavitù (morale, religiosa, materiale): state tranquilli, il Capitalismo marcirà anche lì. Lo stesso vale per qualunque altra pretesa politica. Non ha senso disporre vincoli ambientali in un pezzo di mondo quanto altri pezzi di mondo li ignorano. Non ha senso preservare le valli dall’invasione dei treni ad alta velocità quando le valli vicine sono piene di ferro, elettricità e binari. È la globalizzazione: prodotta dal Capitalismo che proprio di globalizzazione sta morendo.

E allora, che c’entra Tsipras? C’entra perché servono uomini coraggiosi per trovare ragione di speranza, oggi, in Occidente. Siamo a corto di leader. Qui in Italia ne avevamo uno ma costui, messo alle strette da una pletora di plebei della sottopolitica che lo hanno proclamato un duce prima ancora che effettivamente facesse qualcosa per esserlo, ha finito per sbagliarle tutte. Drammaticamente. La politica qui da noi in Italia da troppo tempo è s’è occupata di demonizzare gli avversari. Che si demonizzasse Berlusconi lo trovo lecito e necessario, perché moralmente era (è stato per noi italiani) un “demonio”, nel senso che ha accompagnato le sue campagne (pseudo)politiche con un processo di “immoralizzazione” pubblica costante e generale: ne pagheremo le conseguenze per decenni. Ma demonizzare Renzi prima ancora che nascesse come possibile leader del Paese è stato un errore imperdonabile. Così è andata e ora non c’è più molto da fare.

Proprio per questo Tsipras resta l’ultima spiaggia della nostra speranza. Ci si augura che dalla sua testa politica esca un azzardo sostanziale che, almeno qui in Europa, possa ribaltare le cose. Un’invenzione, un colpo all’intoccabilità delle convenzioni del Capitalismo morente, uno schiaffo a quei politici di destra che hanno risposto solo ai propri bisogni invece di assumere delle responsabilità nei confronti degli altri. Qualcosa che dia ancora senso alla nostra storia e al nostro futuro; che ci consenta di presentarci a testa alta davanti a certi terroristi beghini che ostentano il proprio moralismo ignorante di fronte alla nostra colta immoralità. È l’ultima occasione. Per sei mesi saremo tutti Tsipras come per sei giorni siamo stati tutti Charlie: in cerca di identità perdute, tutto va bene. Ma come dopo sei giorni sono arrivati quelli che hanno dubitato («Insomma, quelle vignette erano modeste…  e che bisogno c’era, poi, di prendersela con Maometto!»), così tra sei mesi arriveranno le cassandre a dire che a sinistra del Pci non ci può essere nessuno… e che loro lo avevano detto… Bisogna pure che questo povero Tsipras si sbrighi!

 

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