Anna Camaiti Hostert
L'ultima rivoluzione del presidente

Nuovo sogno americano

Nelle pieghe del (coraggioso) discorso pronunciato da Barack Obama ieri, c'è il ritratto della sua idea di libertà e solidarietà nel Terzo Millennio. Ce la farà a imporla? Ce la faremo noi a seguirla?

A dispetto di quello che pensano alcuni editorialisti, soprattutto italiani e solo pochi americani di stretta osservanza repubblicana, quello dell’altra notte è stato in assoluto il discorso più memorabile del presidente Obama di fronte ad un parlamento che adesso è interamente nelle mani dell’opposizione. Così ha citato i successi ottenuti in questi anni: dalla ripresa economica (11 milioni di nuovi posti di lavoro) alla riforma sanitaria, ma ha anche specificato i suoi futuri obiettivi. Qualcuno lo ha definito un “vintage” Obama, riferendosi al fatto che il presidente si è riappropriato di vecchi temi che appartenevano decisamente alla sua piattaforma politica iniziale. Ed è ritornato ad essere combattivo, mostrando una voglia di lottare che certo non è una caratteristica dell’essere “a lame duck” espressione con cui ultimamente molti editorialisti l’avevano definito e che si dà ai presidenti alla fine della carriera quando ormai contano poco o niente.

A volte è stato perfino sarcastico. Ad esempio verso la fine del suo discorso, tendendo una mano ai repubblicani ha affermato che ciò che proporrà sarà bipartisan,perché questo è nell’interesse del paese. E a riprova di ciò ha citato il fatto che adesso non dovrà più «fare nessuna campagna elettorale». All’applauso arrogante dei repubblicani che hanno mostrato tutta la loro soddisfazione di fronte al fatto che non potrà essere più rieletto, senza battere ciglio, gelido come Obama sa essere quando vuole, girando la testa dall’altra parte ha risposto: «Lo so bene, perché le ultime campagne elettorali le ho vinte io». E solo dopo pochi secondi, mostrando un sorriso di sardonica soddisfazione, si è rivolto questa volta ai suoi avversari.

Vale la pena di citare l’incipit di questo discorso che parte da un excursus storico su questi primi anni del millennio. «Questi quindici anni si sono aperti con il terrore che ha lambito la nostra terra, si sono dispiegati con una nuova generazione che ha combattuto due lunghe e costose guerre, sono stati testimoni di una recessione profonda che si è allargata a tutta la nazione e al mondo intero. È stato e per certi versi continua ad essere ancora per molti un periodo molto duro. Ma stasera voltiamo pagina. Stasera dopo un anno epocale per l’America, si può affermare che la nostra economia sta crescendo e creando nuovi posti di lavoro ad una velocità che non si ricordava dal 1999. Il nostro tasso di disoccupazione è adesso più basso di prima della crisi finanziaria. Il numero dei nostri diplomati e laureati è più alto di quanto sia mai stato prima d’ora, più gente ha un’assicurazione sanitaria; siamo liberi dalla morsa della dipendenza dal petrolio straniero come invece è stato per gli ultimi 30 anni». E più avanti dopo avere citato questi fatti, sotto gli occhi di tutti, ha affermato: «L’ombra della crisi è passata e lo stato dell’Unione è forte. In questo momento – con un’economia che cresce, con il deficit che si riduce, l’industria che si rafforza e la produzione di energia che sta andando alle stelle – noi siamo risaliti dalla recessione più di ogni altro paese sulla terra. Adesso è il momento di scegliere chi vogliamo essere per i prossimi quindici anni e per i decenni a venire».

E secondo Obama queste dovrebbero essere le priorità. Per prima cosa abbassare le tasse alla classe media e alzarle invece ai più ricchi, soprattutto alle grandi corporation, una politica sociale universale degli asili nido, i giorni di malattia pagati sul posto di lavoro, salari uguali per uomini e donne, aumento del salario minimo, rafforzamento della presenza sindacale sui posti di lavoro. Non so con quanta fortuna questi obiettivi, che sono parte integrante della piattaforma politica del partito democratico, verranno raggiunti. Infatti c’è un’enorme riluttanza dei repubblicani, che già in passato lo hanno tacciato di “socialismo”, ad approvare le proposte di Obama, soprattutto quando si va a toccare l’economia. Certo, vale la pensa di presentarle e di evidenziare le priorità del paese che, comunque vengano risolte, devono essere poste all’attenzione dei cittadini. E i repubblicani dovranno per forza confrontarsi con esse.

Altro tema importante è stata la politica ambientale che, ha affermato Obama,  deve tenere conto della gravità della situazione ormai non più rimandabile. «Il 2014 è stato l’anno più caldo registrato nel pianeta. Certo un anno da solo non fa un trend, ma questo lo fa: 14 dei 15 anni più caldi che si sono registrati sul pianeta sono caduti nei 15 anni di questo secolo… I migliori scienziati nel mondo ci dicono che le nostre attività stanno cambiando il clima e se non agiamo nei tempi dovuti continueremo a vedere gli oceani che si alzano, più lunghe e più calde ondate di calore, pericolose siccità , alluvioni e massicci cataclismi che possono creare grandi migrazioni, conflitti e fame nel mondo. Il Pentagono dice che i cambiamenti climatici in atto pongono rischi immediati alla nostra sicurezza nazionale. E pertanto dovremmo agire di conseguenza». Obama ha ribadito al proposito le misure messe in atto dal suo governo per il potenziamento dell’energia solare e di quella del vento, con l’uso di fonti alternative al petrolio. Anche se in questo caso molte sono le lacune della sua presidenza. Altro tema scottante richiamato dal presidente quello dell’unità razziale sia in riferimento ai neri, agli ispanici che nei confronti del mondo islamico sovente fatto oggetto di stereotipi che non aiutano la convivenza. E ha fatto riferimento al bisogno di una politica organica dell’emigrazione che, al di là del suo provvedimento governativo che ha fermato per un po’ di tempo la deportazione di molti illegali, da lungo tempo è dovuta.

E ovviamente non poteva mancare un riferimento al pericolo terrorista nei confronti del quale Obama certo non fa sconti, ma non prende neanche inutili scorciatoie o abbassa la testa. E così dopo avere riasserito la necessità della chiusura totale di Guantanámo contraria a qualunque principio democratico parla a lungo della sua strategia nei confronti del problema. «Come capo supremo delle forze armate è mio dovere difendere gli Stati Uniti. Ma nel fare questo il problema non è se l’America è il leader del mondo ma come lo è… Io credo nella leadership americana. Noi abbiamo successo quando riusciamo a combinare il potere militare con una forte diplomazia, quando sosteniamo il nostro potere con la costruzione di coalizioni, quando non lasciamo che la paura ci accechi nei confronti delle opportunità che questo nuovo secolo ci presenta. Questo è quello che stiamo facendo proprio adesso e questo nel mondo fa la differenza… Pertanto stiamo con tutti quelli che sono oggetto di azioni terroristiche: da una scuola in Pakistan alle strade di Parigi. Continueremo a cacciare i terroristi e smantellare i loro networks… allo stesso tempo abbiamo imparato una lezione negli ultimi tredici anni. Invece di mandare gli americani a guardia delle valli dell’Afghanistan abbiamo istruito il loro personale di sicurezza che adesso guida il paese e abbiamo reso onore al sacrificio delle nostre truppe, sostenendo la transizione democratica di quei paesi».

Così, riasserisce Obama, invece di mandare truppe in quelle zone abbiamo esteso il partenariato con nazioni che vanno dall’Asia del sud al nord Africa nel tentativo di negare un porto sicuro ai terroristi che minacciano l’occidente. E invece di essere trascinati nel baratro di una nuova guerra contro l’Isis, gli Stati Uniti, in Iraq e in Siria – prosegue Obama – sono a capo di una larga coalizione che include molti paesi arabi per distruggere i gruppi terroristici, sostenendo anche un’opposizione moderata in Siria. Anche se, va notato, gli esiti non sono sempre quelli voluti. E non mancano parole dedicate alla Russia che a causa delle sue mire espansionistiche oggi è isolata, all’apertura a Cuba, un processo dovuto da decenni, e allo stop alla politica del nucleare in Iran. E proprio per questo Obama annuncia la sua opposizione a nuove sanzioni che non aiuterebbero la distensione tra Stati Uniti e Iran e in generale nel medio oriente. Dunque un bilancio positivo che, in generale, è difficile da contestare e che si riflette anche negli ultimi sondaggi. Forse per puro caso, la rinascita del paese è avvenuta per due volte sotto presidenti democratici, Clinton e Obama, e la recessione sotto due presidenti repubblicani, tra l’altro della stessa famiglia: Bush padre e figlio. Ma certo un dubbio sulla diversità dei risultati della strategia politica dei due partiti viene.

C’è un filo rosso che attraversa tutto il discorso di Obama a cominciare dal suo nuovo atteggiamento, al suo rialzare la testa dopo anni di intimidazione da parte di un’opposizione cieca e con un atteggiamento ostruzionistico generalizzato, volto solo a distruggere. La sconfitta della paura. Obama, anche se ormai ha tutti i capelli bianchi, ha battuto la paura che non può, come ha detto, e non deve influenzare le decisioni e oscurare la ragione. E ne ha parlato diverse volte nel suo discorso. Ma questa sembra di natura diversa da quelle che di solito hanno animato l’occidente e che si sono dispiegate e proiettate nel corso dei secoli della storia europea e americana verso il terrore della mancanza di futuro. Questa volta, e qui sta il paradosso americano, la paura sembra invece coagularsi verso il passato, verso la possibilità della perdita di quello che fin qui abbiamo costruito sia esso rappresentato dalla nostra storia, arte e cultura, da una maggiore giustizia sociale, o come è avvenuto in America, dall’integrazione razziale. E i pericoli non vengono certamente solo dal di fuori, come Obama non ha mancato di sottolineare. È l’atteggiamento dell’angelo benjaminiano proiettato in avanti, ma con la faccia rivolta all’indietro, che l’America, e qui sta il paradosso che la vede sotto accusa da sempre per non avere una storia,  riscopre. E sembra al momento capace di rialzare la testa in difesa di un passato che oggi più che mai sembra in pericolo. Ce la farà?… Ce la faremo?

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