Marco Fiorletta
L'autobiografia «Io, partigiana»

Quella buona Italia

La tensione morale costante, contro la politica fatta solo di gusto per il potere: ecco la lezione di Lidia Menapace, protagonista di un'altra Italia

Che cosa dire di Lidia Menapace che non sia già stata detto? Effettivamente poco: si può ricordare la sua militanza politica, il suo essere giornalista, scrittrice, femminista, studiosa e altro ancora ma sono cose risapute. Quindi parliamo del suo nuovo libro, Io, partigiana. La mia resistenza, Manni editore, 13 € il cartaceo, 6,99 l’ebook. 146 pagine che (purtroppo) scorrono veloci sotto gli occhi di chi legge: un libro un po’ memorie un po’ compendio di storia con le tante schede esplicative dei diversi temi, fatti, persone, ruoli e accadimenti, che l’autrice affronta nel ricordare le sue esperienze che la porteranno ad abbracciare la causa della Resistenza con la funzione di staffetta partigiana. Compito, quello della staffetta, portato avanti con consapevolezza e coscienziosità pur conscia dei rischi a cui andava incontro. Parlando pochi giorni or sono su queste stesse pagine del libro di Renata Viganò, L’Agnese va a morire, ponevo l’accento su quell’essere di parte che oggigiorno sembra essere un dato negativo e sulla mancanza di memoria storica di molti italiani. Il libro di Menapace è un’ottima occasione per colmare queste lacune. Breve ma denso di fatti e di idee che andrebbero rispolverate, riportate alla luce con un paziente lavorio da archeologo.

Parte da lontano l’autrice, parte dall’educazione avuta dai genitori e dal progressivo prendere coscienza dei limiti alla libertà personale, ai diritti, alle restrizioni in campo culturale e all’inquinamento della società nel suo complesso messo in atto dal fascismo. Una presa di coscienza graduale che si realizza con la crescita. Nulla di particolarmente eroico, sembrerebbe, eppure tutti coloro che misero a rischio la loro vita furono eroici: «Certo Rabellotti e Parzini non ci sono più, non c’è più Zambarbieri, nomi oscuri e rimasti tali, ce li ricordiamo in pochi, il loro sacrificio non ha avuto aspetti spettacolari, non è stato seguito da riconoscimenti importanti: ma quei pochi che li ricordano li hanno nella memoria là dove si conservano le cose preziose, in una galleria di persone e di fatti che aiutano ad andare avanti».

Fu quel saper essere di parte che li portò poi a essere figure di riferimento nella lotta politica contro il dominio della Democrazia cristiana e nell’emanazione di leggi a tutela del lavoro, della salute, della scuola pubblica e in altri campi che sembrano ora sempre più sotto il mirino di un revisionismo senza fine. Una vita piena fondata su quei valori conquistati a mano a mano come si evince dalla lettura di queste memorie: nulla di agiografico ma una narrazione quasi distaccata come se la protagonista non fosse lei stessa. Valori che portano Lidia Menapace a scrivere una frase che ben si attaglia alla crisi politica dei nostri giorni: «…noi che eravamo i più giovani e che non mettevamo nell’azione se non una rivolta morale invincibile, su cui fondava il gesto o il fatto politico. Per questo finiamo sempre per trovarci male nell’attività politica fine a se stessa, fatta solo di abilità, di furberia, di puro gusto del potere, ma senza tensione morale, senza un’idea di miglioramento civile, di testimonianza intelligente di rigore».

Il libro è corredato anche di due appendici, la prima dedicata ad alcune lettere di condannati a morte della Resistenza e la seconda ad un aspetto poco noto della lotta resistenziale, quella degli Internati militari italiani che Alessandro Natta trattò nel libro L’altra resistenza e che viene ricordato da Lidia Menapace.

Io, partigiana, fornisce «… a chi non sa e non conosce, uno squarcio di umanità, non abbellita, ma realisticamente e con semplicità raccontata» come giustamente dice Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell’Anpi. Mi sentirei di consigliarlo come regalo per le giovani generazioni per introdurli ad un mondo, ad un’epoca sempre più relegata nel passato che poi non è tanto lontano e, invece, purtroppo sempre ben presente nei fatti di cronaca politica anche violenti dei nostri giorni.

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