Erminia Pellecchia
Una mostra curata da Andrea Viliani

Napoli, utopia Amelio

Il Madre rende omaggio a Lucio Amelio, il gallerista/mercante/mecenate che trasformò il paesaggio artistico della città e la inserì nel grande circuito della ricerca internazionale

«Con questa prima indicazione culturale intendiamo fare riferimento ad una nuova condizione dell’arte attuale nei Paesi dove è sentita l’urgenza di un’alternativa che può e deve darsi alla situazione che oggi si avanzano sul piano allargato delle vicende umane. Non mostre o rassegne, quindi, ma incontri per una divulgazione acuta e sensibile di documenti atti alla comprensione poetica di linguaggi sempre nuovi figli di una civiltà laica e consapevole». Più che un invito, è una dichiarazione di intenti l’elegante cartoncino che annuncia l’apertura a Napoli della galleria Modern Art Agency. Promotore, con Pasquale Trisorio, Lucio Amelio, personaggio dall’inquieta modernità, ex studente di architettura, che, dopo aver girato il mondo, appreso le lingue che contano e aver fatto mille mestieri, si lancia, con energia e passione, nell’avventura dell’arte, forte di quel talento innato che l’amico regista Mario Franco definirà «vocazione gallerista».

È il 18 ottobre 1965. «La creatività del Mezzogiorno, l’internazionalità, la sinergia tra artisti e galleristi…, tutto è iniziato da lì, da quel sottoscala di Parco Margherita che era casa e bottega – ricorda Carmine Limatola, artista e promotore tra il 1966-68 ad Amalfi, con Marcello Rumma e Germano Celant, della rassegna Arte povera più azioni povere – Lucio iniziò con un berlinese, Heiner Dilly, che faceva una sorta di scrittura murale, una cosa nuova nella Napoli di allora ancora ferma alla tradizione: non avevo soldi, ma comprai lo stesso un quadro; un altro, mi sembra, Filiberto Menna».

mostra amelio3Nella “vetrina” amarcord che fa da ouverture alla mostra Lucio Amelio. Dalla Moder Art Agency alla genesi di Terrae Motus (1965-1982) – l’omaggio del Madre al grande gallerista napoletano a vent’anni dalla scomparsa – tra i reperti d’archivio (più di cinquecento documenti storici tra lettere, manifesti, fotografie, libri, cataloghi, brochure, edizioni numerate, schizzi di allestimento, progetti architettonici e video) c’è anche una pagina del Mattino con un trafiletto che indica l’apertura di un nuovo spazio d’arte. L’intuizione del giornale leader del Mezzogiorno che seguirà e accompagnerà Amelio nel suo progetto di cambiamento di stili e sguardi, crescendo, attinte dalla sua fucina di idee, giovani firme diventate poi autorevoli critici come Michele Bonuomo ed Eduardo Cicelyn. Lo sottolinea Pasquale Esposito, il giornalista che fin dagli esordi è stato vicino a questo curioso mercante «più mecenate che affarista che ha avuto il merito di determinare un cambio di passo a Napoli proiettandola nel mondo e facendone una capitale internazionale dell’arte contemporanea». «Amelio – avverte – coltivò una generazione di artisti giovani napoletani e italiani (Paladino, Clemente, Longobardi, Tatafiore, jodice) o, già strutturati come Gianni Pisani e Carlo Alfano, e ne favorì lo scambio e la crescita, coinvolgendo i maestri della pop-art e delle correnti internazionali dell’arte contemporanea: mostri sacri come Warhol, Beuys, Rauschenberg, Cy Twombly».

mostra amelio1Il percorso espositivo (fino al 9 marzo 2015) si snoda tra il cortile e il terzo piano di palazzo Donnaregina: un viaggio nella storia dell’arte a noi più vicina, un’emozione continua. Non solo per le opere, eccezionali, presenti, ma soprattutto per quell’apparato documentario che restituisce la percezione estetico-concettuale di un ventennio ricco di invenzioni creative e dibattiti, un seme fecondo la cui pianta si materializza oggi proprio nel Madre. «Senza Amelio e i suoi compagni di strada – ribadisce Pierpaolo Forte, presidente della Fondazione Donnaregina – questo museo non esisterebbe. La storia di Lucio è la storia che ci ha portato fino a qui attraverso la produzione di progetti d’arte pubblica, il sostegno a grandi mostre istituzionali, un’intensa attività editoriale e l’organizzazione di personali e collettive spesso pionieristiche che segnarono la svolta e la nascita dell’attuale sistema dell’arte». Gli fa eco il direttore del Madre Andrea Viliani, curatore di questo straordinario “libro” che narra l’avventura di un uomo geniale e di una città mito che si alimentavano a vicenda: «Amelio ha stabilito il legame tra arte e comunità, un’arte che non esprime solo se stessa ma cerca contatto con la realtà. Lucio voleva che i “palazzi” dessero dignità all’arte. Per questo aveva istituito con le sorelle Anna, Lina e Giuliana la Fondazione Amelio, per questo aveva progettato Terrae Motus, una collezione in progress che doveva essere pubblica. Per noi è una fonte di ispirazione».

Nell’aria si avverte un velo di amarezza. Giuliana Amelio è esplicita: «Il mio più grande dispiacere è vedere come viene tenuta la collezione Terrae Motus, come viene scarsamente considerata, sembra quasi che Caserta non si renda conto o non apprezzi il grandissimo tesoro che conserva nella Reggia». Va giù duro Mario De Cunzo, ex soprintendente per i Beni architettonici di Napoli e amico, in quella stagione immortale, dell’Amelio vulcanico, fuori dai codici, affabulatore e determinato: «Lucio voleva acquistare l’ex convento di Santa Lucia ai Monti, un rudere ma, in quella fuga di saloni su più livelli, immaginava un centro polifunzionale, un laboratorio sperimentale, un ambiente per mostre e uno spazio espositivo per le sue importanti collezioni, una residenza per ospitare artisti, una fabbrica delle arti insomma. Purtroppo non se ne fece niente. Le istituzioni furono sorde, Napoli non aveva capito ancora chi fosse Amelio». E forse ancora oggi. Lo si legge sui visi stupiti di giovani artisti che, per la prima volta hanno toccato per mano “la leggenda”, annusato il clima effervescente di quegli anni che Gianni Pisani definisce «di caos creativo e di scapigliatura pittorica, di party folli e di ricerca avanzata e intrecciata con un’idea di fondo etica e sociale».

mostra amelio2A farci da guida nei 18 ambienti che si concentrano sugli anni dal 1965 al 1982 è proprio Amelio che ci scruta sornione dalla grande copertina di Napoli e dintorni. Informatore d’arte, numero ultimo del direttore responsabile Michele Bonuomo, stampato in occasione della mostra. Ecco la ricerca tra astrazione e figurazione di fine anni Sessanta con opere di Barisani, Fontana, Manzoni, Burri, la cui collaborazione diede vita alla realizzazione, nel 1978, del Grande Cretto Nero a Capodimonte. Ecco il focus sull’Arte Povera: Calzolari, Fabro, Mario e Marisa Merz, Paolini, Pistoletto, Zorio,  Pascali. Un colpo d’occhio è la ricostruzione del Viaggio di Jannis Kounellis con cui l’artista del Pireo inaugurò, era il 1969, la nuova galleria a palazzo Partanna in piazza dei Martiri. Una sezione approfondita è dedicata alla «Nuova creatività nel Mezzogiorno» e alla ricerca performativa e teatrale di General Idea, Lea Lublin, Charlemagne Palestine, Gruppo XX, Falso Movimento e Teatro Studio.

È un com’eravamo che prende al cuore. Che parla anche attraverso oggetti consumati come gli stivali di Beuys e la macchina fotografica di Mimmo Jodice. Angelo Trimarco, critico della scuola di Filiberto Menna, ha un sobbalzo di fronte alla messa in scena de La rivoluzione siamo noi (1971) e di Terremoto a palazzo (1981) di Joseph Beuys, il grande amico di Amelio, l’artista da lui preferito. Di impatto in impatto. Ecco i ritratti di Warhol e l’urlo del “Fate presto”, ispirato alla copertina del Mattino del 26 novembre 1980. Siamo alla fine di un excursus imponente che attraversa opere, alcune mai viste in pubblico, di Clemente, Paladino De Maria, Richter, Ontani, Cragg, Gilbert & George, Van Elk e von Gloeden. Il ritratto di Lucio Amelio di Schifano (1965-1985) segna la fine del percorso e ne è la sintesi. Il gallerista in abito bianco è fermato, come un’immagine onirica, in un giardino. Il giardino dell’arte. Il passato e il presente.

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