Elisa Campana
Lettera da Londra

Teatro fuori margine

Che cosa significa preoccuparsi dei nostri simili? Mescolando parola, musica e danza, Gecko – il gruppo teatrale inglese più amato del momento – inchioda il pubblico alle proprie emozioni

Buio; soffuse luci elettriche; grandi archivi che sovrastano le pareti. «Una notte a Napoli, con la luna e il mare, ho incontrato un angelo che non poteva più volare….». La dolce melodia di Pink Martini riempie il vuoto del palcoscenico. Martin è seduto al tavolo di un raffinato ristorante italiano, è contento e spensierato, Margaret è lì con lui… dovrebbe essere lì con lui. Daniel lo riporta di colpo al grigiore del presente, Margaret non c’è, non se ne ricorda?! Ha rotto con lui. Sono in un istituto di malattie mentali, perché da questa rottura, i nervi di Martin, non si sono più riavuti. Ma no, non può essere, eccola Margaret è proprio lì, di fronte lui, Martin spera disperatamente, ritornando a giorni felici assorbiti dall’ineluttabilità del tempo.

Institute della compagnia teatrale inglese Gecko è un incrocio di “storie dimenticate” e ricordi perduti, quattro vite si incontrano tra le mura di un istituto di igiene mentale: quattro personaggi, ognuno mosso da un dramma interiore, Martin che rivuole la sua Margaret, Daniel che mai sazierà la sua ambizione, l’assistente del direttore e il direttore stesso che, appare rigido e severo, ma in realtà fa di tutto per aiutare i suoi pazienti nel processo riabilitativo, consumandosi egli stesso. Perché questo giace nel fondo di Institute, la preoccupazione per gli altri: «Institute è mosso dal desiderio di esplorare le complessità della natura umana; il nostro impulso a preoccuparci e a fare completo affidamento l’un sull’altro. Entriamo in un’epoca in cui, potenzialmente, non siamo mai stati così frantumati e sconnessi – quando arriverà il nostro momento, importerà a qualcuno?», si domanda il direttore artistico Amit Lahav.

gecko2Institute è la sesta rappresentazione dei Gecko in dieci anni di attività, da ottobre è in tour per l’Inghilterra e ha riscosso unanime plauso: «Una sorpresa viscerale, fisica e intrigante» ha sentenziato la British Theatre Guide. È il risultato di due anni di lavoro, durante i quali gli artisti hanno parlato con anziani, amici, colleghi, scrutato la società che li circonda e incontrato coloro che ne vivono ai margini. Rifacendosi alla metodologia consolidata di esplorazione fisica ed invenzione teatrale, l’opera scandaglia il mondo e la complessa natura umana attraverso la danza e il movimento. Il palcoscenico si anima di salti e mosse, i personaggi si agitano, si affannano nel tentativo disperato di andare da qualche parte, per poi rimanere, in fondo, sempre immobili tra gli archivi che, alti fino al soffitto, hanno una duplice funzione, cassetti della memoria che rivelano ricordi lontani o mini-palcoscenici perfettamente legati tra loro, un ristorante, una sala dell’istituto o l’ufficio di Daniel. Non sono solo le parole, ma il corpo tutto che comunica al pubblico le emozioni più profonde e la disperazione più nera, accompagnato dalla forza sonora delle musiche e delle sirene dell’istituto che scandiscono la vita dei pazienti e del personale. Capiamo che in quanto umanità siamo inevitabilmente legati gli uni agli altri.

«Una notte a Napoli, con la luna e il mare, ho incontrato un angelo che non poteva più volare….». Cala il sipario. A ognuno la propria interpretazione… Institute racconta delle storie, certo, ma pone soprattutto tante domande sul nostro essere umani, sulla nostra capacità di preoccuparci per gli altri.

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