Jolanda Bufalini
Un ferita sempre aperta

Spettacolo & Paura

L'Aquila apetta la sentenza al processo contro chi disinformò i cittadini prima del terremoto del 2009. Un'occasione per mettere di nuovo in fila le responsabilità di Bertolaso & Co nella cattiva gestione della protezione civile

L’AQUILA. Processo a Galileo, si è detto, processo alla scienza. Il dilemma è duro, scivoloso, doloroso, il collegio del tribunale di appello dell’Aquila, presieduto dal giudice Fabrizia Ida Francabandera lo scioglierà domani, lunedì 10 novembre, sotto i riflettori dei media nazionali e internazionali. Attenzione planetaria cui ha corrisposto la totale assenza di inviati italiani durante le udienze, iniziate il 10 ottobre e andate avanti, ogni venerdì e sabato, per cinque settimane. C’è una Tv giapponese, e – come nel processo di prima istanza – l’inviato di Science, ci sono i media locali, mancano le testate nazionali.

Questo non ci risparmierà alte grida scandalizzate, soprattutto se la sentenza – come ha chiesto il procuratore generale Romolo Como – confermerà le condanne di primo grado. Gli scandalizzati sanno a prescindere. Eppure, se in Italia l’informazione fosse una cosa seria, il paese avrebbe imparato molto da questo processo: lo Stato a proteggere meglio i suoi cittadini e, anche, i suoi scienziati; i cittadini a meglio auto-proteggersi. Non ultimo, ci sarebbe materia di riflessione per noi, giornalisti, che nei sei giorni che precedettero la scossa delle 3 e 32 del 6 aprile 2009, facemmo una pessima figura.

Qualcuno sbagliò, in quel fatidico 31 marzo? Se sì, chi? Gli scienziati che parteciparono alla riunione della Commissione Grandi Rischi? O il dipartimento di Protezione civile, cui spetta l’onere della comunicazione istituzionale di emergenza? E quell’errore, se ci fu, si configura come una colpa (anzi, cooperazione nella colpa dei partecipanti alla CGR) sanzionabile, come avvenuto in primo grado, con la condanna a 6 anni, per tutti, indipendentemente dal ruolo giocato?

La tesi delle parti civili: «Processo non alla scienza ma ad alcuni scienziati, i più autorevoli nel campo dei terremoti che, proprio in ragione della loro autorevolezza facevano parte della CGR, ed erano garanti del bene tutelato dalla Commissione, la sicurezza, la vita dei cittadini».

aquila spaini1Il procuratore generale Como: «Il messaggio alla popolazione fu devastante perché confuso, superficiale, fuorviante. In una parola, tranquillizzante. La condotta degli esperti, che quella funzione di garanzia svolgevano all’apice,  imprudente e negligente». Ancor più duramente: «Voi che eravate i garanti al massimo livello di competenza, vi siete piegati alla operazione mediatica di Bertolaso». «Non tutte le 309 vittime del terremoto – argomenta il Pg – ma alcune di loro, furono indotte a restare in casa». «Non io – aggiunge per maggiore chiarezza – che ho un atteggiamento fatalista e, se non avessi la casa in cemento armato che ho, sarei rimasto  sotto le macerie. Altri, abituati, per atavica paura, a uscire di casa, quella notte, fiduciosi nelle autorità scientifiche, restarono nel loro letto, tranquillizzarono le figlie e i figli, nonostante le due forti scosse che avevano quella delle 3 e 32».

È un processo alla scienza, rispondono gli avvocati della difesa e, soprattutto, il professor Enzo Boschi con il suo avvocato Marcello Melandri: i terremoti non si possono prevedere e, se non si può prevedere a che ora, in questo momento, domani o fra venti anni, ci sarà una forte scossa, come si poteva valutare il rischio? Nessuno degli scienziati ha fatto affermazioni false o tranquillizzanti. Le mappe elaborate dall’Ingv, con l’Abruzzo colorato di viola, che significa alta sismicità, furono portate alla riunione e illustrate da Giulio Selvaggi.

Il giudice di primo grado non ha tenuto conto delle testimonianze a favore, come quella del sindaco Massimo Cialente, che – ha testimoniato – uscì da quella riunione «niente affatto rassicurato» tanto che il giorno dopo chiese lo stato di emergenza.

Il nesso psichico che fa della condotta degli scienziati la causa (concausa) della morte è indimostrabile. Gli scienziati comunicano con chi prende le decisioni, gli “operativi”, non con la popolazione. Comunicazione e decisioni spettano al Dipartimento di protezione civile e alle autorità (sindaco, assessore regionale). Se vi fu messaggio fuorviante, non venne dagli scienziati. La palla rimbalza nel campo degli “operativi” della Protezione civile, il vice capo Bernardino De Bernardinis e Mauro Dolce, ma soprattutto De Bernardinis che fece la famosa intervista conclusa con la battuta: «Beviamoci un bicchiere di Montepulciano, quello buono».

Prima di inseguire la palla conviene, però, vedere cosa contestano le parti civili agli argomenti in difesa degli scienziati.

I fatti: a giugno 2008 erano cominciate le scosse, da dicembre si erano intensificate. La popolazione era sottoposta a un tremendo stress, esausta per le fughe diurne e notturne. Un tecnico dei laboratori del Gran Sasso, Giampaolo Giuliani, aveva dedotto dai suoi studi sul gas radom e dalle centraline sperimentali da lui installate che vi sarebbe stata una forte scossa, e aveva indicato l’epicentro a Sulmona. La Digos aveva aperto un’indagine su gruppi che giravano in auto con altoparlante, annunciando il terremoto. Guido Bertolaso aveva due altri fronti aperti, i cantieri della Maddalena per il G8, in ritardo, un pozzo senza fondo ad inghiottire denaro pubblico, e i rifiuti a Napoli. Bertolaso qualifica come “imbecille” Giampaolo Giuliani.

L’Aquila è una città universitaria, gli studenti fuori sede sono galline dalle uova d’oro che non devono fuggire dal pollaio. Il rettore Di Orio aveva imposto ai dipendenti di non uscire dagli uffici, chi aveva paura doveva mettersi in ferie.

Nel pomeriggio del 30 marzo arriva una botta che fa molta paura: 3.5 di magnitudo.  È questo il contesto in cui prende forma l’operazione mediatica in cui  rimangono intrappolati  («Vi siete piegati», dice il Pg ) gli scienziati.

La Protezione civile abruzzese diffonde un comunicato stampa in cui si afferma senza mezzi termini: «Non ci saranno altri terremoti». Guido Bertolaso telefona all’assessore Daniela Stati: «Non si scrivono mai queste cose, domani ti mando i massimi esperti. Facciamo dire a loro, la situazione è favorevole, le piccole scosse scaricano energia». Naturalmente, in quel momento, nessuno è al  corrente della telefonata, tranne i due diretti interessati. L’intercettazione, proveniente da altra indagine, scoppierà come una bomba durante il processo di primo grado, Guido Bertolaso e Daniela Stati sono ora indagati in procedimento connesso. Si aspetta la decisione sul rinvio a giudizio dopo la conclusione del processo contro la CGR.

aquila spaini2Il giorno dopo, gli scienziati arrivano a L’Aquila preceduti da un grande battage, il comunicato stampa diffuso dal Dipartimento di Protezione civile nazionale dice, citiamo a memoria: per valutare il rischio e dare informazioni  puntuali ai cittadini. Non dice la stessa cosa il fax  di convocazione che fa riferimento solo alla prima parte del comunicato: valutazione puntuale del rischio sismico. Il 31 marzo 2009, prima della riunione, De Bernardinis, vice capo della Protezione civile, registra (prima della riunione ma andrà in onda dopo) l’intervista del buon bicchiere di Montepulciano e ripete esattamente le parole di Bertolaso alla Stati: la situazione è favorevole, si scarica energia. Fa un’altra intervista dopo la conclusione, più confusa ma sempre tranquillizzante.  La prima intervista è concessa alla emittente locale Tv Uno, il giornalista, Colacito, chiede  esplicitamente «facciamo come se fosse fatta dopo».

Dopo la conclusione della CGR si tiene una conferenza stampa: partecipano l’assessore Daniela Stati, Franco Barberi, il sindaco Massimo Cialente, De Bernardinis, Mauro Dolce. Incredibilmente nessuno registra l’intera conferenza stampa, né il Dipartimento di protezione civile, né alcuna emittente presente. Fra il primo processo e l’appello si trova un frammento trasmesso da Presa diretta, che riporta una frase di Franco Barberi sulla imprevedibilità dei terremoti. I quotidiani del giorno dopo riprendono il tema della «situazione favorevole». Le difese sottolineano che nei giornali c’è anche altro, le aperture sono dedicata alla “paura”, alle “scosse”. Ma – sostengono le parti civili – l’attenzione del pubblico è rivolta all’esito della riunione degli scienziati. In primo grado il Pm Fabio Picuti si è avvalso della consulenza di un antropologo aquilano, Antonello Ciccozzi. Le difese attaccano la consulenza, le teorie antropologiche non sono una “legge di copertura” a riprova del cambiamento, dopo la riunione della Commissione, del comportamento delle vittime. Giustino Parisse è un giornalista serio, un commentatore de il Centro. Si occupava del terremoto, la notte fra il cinque e il sei aprile rassicurò la figlia, che era a letto. Ha perso sotto le macerie l’intera famiglia. Una delle due figlie dell’avvocato Maurizio Cola studiava a Napoli, dopo la CGR Maurizio ruppe gli indugi, andare fuori per Pasqua? «Ma no – disse alla figlia – vieni, non c’è pericolo. Stiamo tutti insieme a L’Aquila». La sua casa affacciata sulla villa comunale si è sbriciolata, sotto sono rimaste le figlie e la moglie. Ilaria Narciso, studentessa fuori sede, aveva molta paura. Dopo la CGR si convinse che doveva vincerla. Anche Paola aveva paura, di mestiere faceva la trasportatrice. Si convinse che non c’era pericolo ascoltando Isoradio.

Il Pg Como respinge, a suo modo, l’attacco sulle teorie antropologiche: «Non c’era bisogno di un antropologo per affermare che, quanto più è autorevole la fonte, tanto più vi si ripone fiducia. Se ho necessità di una consulenza giuridica mi rivolgo a uno studioso, non a quattro amici al bar».

La sequenza degli eventi non sembra lasciare adito a molti dubbi. Il Dipartimento di protezione civile oppone all’allarmismo sconsiderato di Giuliani una controffensiva mediatica che ha l’effetto di rassicurare più del ragionevole, il messaggio che arriva all’opinione pubblica – in modo confuso e impacciato, con la collaborazione delle testate locali – è una sorta di rumore nel quale si distingue che «la situazione è favorevole», «lo sciame sismico scarica energia». «Sta a scarica’…» diventa l’esorcismo da bar che, piuttosto, scarica la tensione, non delle falde telluriche in movimento, ma della paura degli aquilani. E lo fa con la collaborazione dei giornalisti, i quali, però, ha sostenuto il Pm in primo grado: «Non deformarono», «Non fecero altro che riportare ciò che veniva dalla Protezione civile». E di chi si dovevano fidare, d’altra parte? Stabilito il rapporto di fiducia, i giornalisti non guardano per il sottile, il caso più eclatante è l’intervista anticipata-posticipata di Colacito a De Bernardinis, il quale, comunque, imprudentemente si presta.

Secondo uno degli avvocati dello Stato per la responsabilità civile intervenuti nel dibattimento di appello: «È vero che la comunicazione spetta al Dipartimento di protezione civile ma solo dopo l’evento catastrofico. Dopo, quindi, la notte del 6 aprile».  E allora, che situazione c’era a  L’Aquila il 31 marzo, dopo la scossa spaventosa del pomeriggio del 30? Se non era di emergenza, perché gli esperti furono irritualmente convocati in una riunione straordinaria nel capoluogo abruzzese?

aquila spaini3Più sfumato, più difficile da discernere il ruolo degli studiosi rispetto ai quali il giudice monocratico di primo grado, ora confortato dalla richiesta di conferma del Pg, ha tagliato il nodo gordiano, condannando tutti alla stessa, pesante pena.

I punti a favore degli scienziati rimangono i medesimi fin dall’inizio della vicenda: 1)I terremoti non si possono prevedere; 2)L’unico modo efficace di difendersi dai terremoti è l’edilizia antisismica: «Sono trent’anni che diciamo la stessa cosa a politici  e amministratori locali».

L’accusa contesta: in quella situazione schiacciare sulla “normalità” di una zona altamente sismica gli eventi in corso significò “anestetizzare”, inibire le capacità tradizionale di auto-difesa. Per quanto le affermazioni nei verbali della riunione (la bozza e quello ufficiale firmato dopo la scossa del 6 aprile) non siano identiche, nessuno contestò, nessuno contrastò l’operazione mediatica in corso.

Consulenza degli esperti e comunicazione sono due percorsi paralleli è la tesi della difesa, in capo a soggetti diversi.

Franco Barberi, ricorda il suo avvocato Petrelli, è uno dei principali artefici della moderna protezione civile in Italia. È vero. E tanto più è dolorosa questa vicenda giudiziaria, perché alla barra sono alcune delle persone che più si sono adoperate nella loro vita per dotare il paese di strumenti capaci di prevenire e salvare vite umane. Un dolore diverso ma che si aggiunge a quello incommensurabile dei sopravvissuti familiari delle vittime.

Di nuovo gli argomenti delle accuse. Barberi (risulta dai verbali) pone il quesito dello «scarico di energia». Sottolinea che ad affermarlo è stato Bertolaso, il quale «non è un sismologo». Perché l’argomento cade? Perché nessuno protesta che quella è una grande “castroneria”?

Esiste uno studio sulle fragilità degli edifici pubblici dell’Aquila che, sintomaticamente, si chiama “Rapporto Barberi”. Perché non fu preso in considerazione? E, se era documentata la fragilità degli edifici pubblici, a cominciare dalla Prefettura, il palazzo del Governo che, con la sua trabeazione spezzata, è diventato il simbolo del sisma, non si doveva, per estensione, mettere in guardia i cittadini sull’edilizia privata?

Anche Enzo Boschi ha dedicato la vita al rischio sismico. Paradosso vuole che i suoi studi, in dibattimento, siano stati usati contro di lui. In una pubblicazione del 1995 ha scritto che in Italia la più alta probabilità di forti scosse nei prossimi 20 anni è in Abruzzo e nella Sicilia Orientale. «Ricordate la basilica di Assisi che trema?», replica lui, «è il terremoto del 1997 in Umbria». «Quello studio del 1995 non è né giusto né sbagliato, è un contributo di ricerca da sottoporre a verifica come si fa nelle scienze». C’è una frase di Boschi a verbale che ha suscitato molto scandalo. Vi si dice di un ricorso di grossi terremoti con intervallo di 2000/3000 anni. Lui, nell’ultima udienza, ottiene la parola per spiegarsi, è uno dei momenti drammatici del processo che lo vede primo protagonista e bersaglio dell’avvocato Alessandro Valentini, che ha dato, con il suo esposto, il via al procedimento. «Di questo tipo è il terremoto del 1703 a  L’Aquila e quello di Messina del 1908». Quel tempo si riferisce al formarsi della crosta terrestre. Si riferisce a quella faglia.  Non ad altre che percorrono e incrociano lo stesso sottosuolo.

aquila spaini5I verbali sono piatti, descrivono una discussione pacata e senza asprezze. Ma il teste Cialente ricorda un signore con i capelli bianchi che all’epoca non conosceva, alzarsi irato e gridare che una forte scossa di terremoto può sempre avvenire. È una descrizione che ha il sapore della verità, pare di vederlo, Boschi, emozionato e iracondo, e anche un po’ incapace, per la furia, di farsi comprendere.

La teste Daniela Stati, invece, ha confermato in udienza di primo grado, di essersi sentita rassicurata. Testimonianza zoppa – dicono i difensori – poiché era l’unica a conoscenza della telefonata intercorsa fra lei e Bertolaso. Rassicurazione che la portò ad affermare, «sono una madre, se avessi paura metterei una tenda in giardino per i miei figli». L’avvocato Stefàno (difensore di Claudio Eva) ha, però, scoperto che la storia della tenda in giardino appartiene a una intervista svolta prima della riunione della Commissione Grandi Rischi.

Eppure, sembra impossibile all’accusa che i professori non avessero sentore dell’«operazione mediatica». E deve pur spiegarsi l’andamento sconclusionato, senza né capo né coda, della riunione, che si conclude senza una minuta, un promemoria, una scaletta delle cose da dire nella conferenza stampa conclusiva, annunciata prima di chiudere la riunione.

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