Adriano Mazzoletti
Da domani al Parco della Musica di Roma

Conversazioni in jazz

Affidato a Kenny Barron e a Dave Holland il concerto di apertura del festival romano. Due grandi nomi che insieme agli altri appuntamenti in programma confermano un'inversione di tendenza: dare al jazz quel che è del jazz. Come a “Umbria Jazz Winter” (dal 27 dicembre) dove si celebreranno i 50 anni di “A Love Supreme”

L’estate appena trascorsa ci aveva gettato nello sconforto, ai maggiori festival e rassegne dedicate al jazz la presenza di complessi rock, pop oltre a esponenti della canzone, della musica leggera e del varietà, erano a volte in maggioranza rispetto ai musicisti jazz. Anche il festival svizzero di Ascona, che per anni era stato il baluardo europeo della tradizione, pubblicizzato come “Il più grande festival europeo dedicato all’Hot Jazz” aveva aperto le porte alla musica commerciale. Per limitarci a qualche festival appena trascorso troviamo esponenti della canzone come Claudio Baglioni a Piano e Jazz di Ischia; Irene Grandi al Festival del Jazz di Ascona; Fiorella Mannoia e Mario Biondi a Umbria Jazz e personaggi del varietà radiotelevisivo, come Elio e le Storie Tese al Torino Jazz Festival e Renzo Arbore al Festival del Jazz di Ascona, e l’elenco potrebbe continuare.

Dalle prime notizie giunte dai due maggiori festival autunnali e invernali, il Roma Jazz Festival e Umbria Jazz Winter che come di consueto si svolgerà a Orvieto, sembra che sia iniziata una inversione di tendenza e le ragioni potrebbero essere molte. Possiamo tentare di individuarne alcune. Forse la presenza di cantanti di musica leggera in un contesto che non è tradizionalmente il loro poteva creare qualche imbarazzo sia a fans dei primi, che agli appassionati di jazz, oppure, e questa può essere la vera ragione, un gruppo assai nutrito di musicisti italiani di jazz ha ormai raggiunto la popolarità sufficiente ad attirare un pubblico sempre più vasto. È il caso di Paolo Fresu, Stefano Bollani, Enrico Rava, Enrico Pieranunzi.

roma jazzLa tendenza di inserire musicisti di estrazione diversa in festival o rassegne espressamente dedicate, in questo caso al jazz, ha origini lontane. In Europa il primo fu il festival di Montreux, che già nel 1987 presentava una infinità di star del rock e del pop come Joe Cocker, Ben E. King, Joao Bosco, Phil Carmen, Celia Cruz e gruppi, più o meno illustri, di musica etnica, con danzatori e giocolieri. Ciò che stava succedendo a Montreux era già accaduto anni prima a Newport quando nel 1960 George Wein incluse nel festival alcuni cantanti pop. In questo caso però Charles Mingus e Max Roach decisero di boicottare la manifestazione. Montreux e Newport erano, però, sponsorizzati da privati. Il primo dalle multinazionali del disco e dal locale Casinò, che forse in quel periodo doveva sostenere la concorrenza con Campione d’Italia, Chamonix, St. Vincent e Venezia. Il secondo da alcuni grandi produttori del tabacco. In Italia, con la sola eccezione di Umbria Jazz che è sempre stata in grado di ottenere sponsorizzazioni, non appare neppure un microfono senza il contributo di denaro pubblico, di conseguenza i grandi, meno grandi, piccoli e piccolissimi festival che ogni anno vengono organizzati con contributi statali lungo la Penisola dovrebbero pensare a realizzare manifestazioni specifiche di alto livello culturale.

Ma veniamo ai due festival che stanno per iniziare. Il primo è quello di Roma il cui concerto di apertura, domani, venerdì 14 novembre alla Sala Petrassi dell’Auditorium, vedrà la presenza del pianista Kenny Barron e del contrabbassista Dave Holland che presenteranno il loro recentissimo lavoro The Art of Conversation inciso pochi giorni fa, il 14 ottobre. Saranno gli appassionati romani ad ascoltare per la prima volta, nel nostro Paese, i brani inseriti in questo nuovissimo album, preceduti da quelli di Barcellona, Atene, Amsterdam e Novi Sad in Serbia, città toccate dalla tournée di questi straordinari musicisti, iniziata il 31 ottobre a Istambul. Musicisti di estrazione diversa, Kenny Barron e Dave Holland. Il primo pianista bop di grande talento, “nato” nel 1962 alla scuola di Dizzy Gillespie, il secondo, contrabbassista inglese di altrettanto grande talento, notato nel 1968 a Londra da Miles Davis che lo volle a suo fianco nelle celebri incisioni In A Silent Way e soprattutto Bitches Brew. La loro “arte delle conversazione” non dubitiamo, darà le stesse emozioni che l’estate scorsa, sempre all’Auditorium di Roma, abbiamo avuto da due altri grandi del jazz, in questo caso con tradizioni comuni, Wayne Shorter ed Herbie Hancock.

Fra gli altri appuntamenti da non perdere, lunedì 17 novembre i concerti dei pianisti della nuova avanguardia Jason Moran e Robert Glasper; Fabrizio Bosso e Paolo Silvestri mercoledì 19; Enrico Rava e Parco della Musica Jazz Lab giovedì 20; Franco D’Andrea con Daniele D’Agaro e Mauro Ottolini il 24; e infine la cantante Dee Dee Bridgewater il 25 e il chitarrista Bireli Lagrene con il suo Gypsy Project il 27 novembre. Un plauso anticipato dunque a Festival di Roma, per aver presentato un programma finalmente interessante.

umbria jazzUn mese dopo, il 27 dicembre, inizierà la XXII edizione di Umbria Jazz Winter, che terminerà all’alba del nuovo anno il 1 gennaio. A differenza di quello romano, il festival umbro inizia sottotono. I nomi di punta quelli dei cantanti Chiara Civello e Nicola Conte, più vicini oggi alla canzone e alla musica leggera che non al jazz. Chiara Civello che aveva inizialmente dimostrato doti jazzistiche, ha mutato interessi musicali non appena ottenuto successo e visibilità e il suo ultimo disco Canzoni è un omaggio alla canzone italiana. Nei giorni successivi andranno in scena, Fabrizio Bosso con l’eccellente fisarmonicista Luciano Biondini, che abbiamo ascoltato, recentemente, con grande interesse, nel nuovo disco con Rita Marcotulli e Javier Girotto. E ancora il pianista Giovanni Guidi, i Doctor Tree nella classica formazione con Enzo Pietropaoli, Fabrizio Sferra e Danilo Rea, finalmente sganciato, almeno per questa occasione, dall’accompagnamento ai cantanti di musica leggera. Si sentirà il grande vuoto lasciato da Renato Sellani, recentemente scomparso, la cui presenza con Massimo Moriconi era prevista in cartellone. Il quintetto dei sassofonisti Joe Lovano e Chris Potter con il pianista di St. Louis Lawrence Fields, il veterano contrabbassista Cecil McBee, oggi alla soglia degli ottant’anni, e il batterista Jonathan Blake presenterà un omaggio al capolavoro di John Coltrane, A Love Supreme, inciso a dicembre di cinquant’anni fa. E ancora Paolo Fresu con Omar Sosa, ma anche in quartetto e in duo con Danilo Rea. Questo il programma di Umbria Jazz Winter che chiuderà la stagione jazzistica 2014. Una stagione che non ha dato momenti di grandi emozioni, ma spesso di altrettante grandi delusioni come la quasi chiusura della Casa del Jazz dopo l’ultima deludente stagione.

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