Danilo Maestosi
Alla Galleria Silber di Roma

Pitture per ridere

Le opere di Giuseppe Brunetti richiamano alla mente la leggerezza e lo sberleffo dei grandi pittori "comici", da Arcimboldo a Depero. Ma è un'arte a due dimensioni

Chi ha detto che la pittura debba essere sempre così trattenuta, austera, prendersi sempre sul serio? Chi ha detto che debba rinunciare a farci ridere o almeno sorridere? Se il teatro ci ha consegnato lo sfogo dello sberleffo, il varietà la liberazione della pernacchia, se il cinema ci ha deliziato e dato egualmente da pensare con l’umorismo vellutato di Ernst Lubitsch, il sarcasmo graffiante di Billy Wilder, le gag di Totò e della commedia all’italiana, se persino la filosofia con Bergson ha sdoganato lo slancio vitale del riso, perché la pittura no? Magari prendendo esempio dalle provocazioni performative dell’avanguardia come la cacca in scatola di Manzoni, una provocazione che ancora suscita sghignazzo. Dalle barzellette su cui uno come Cattelan ha costruito la propria fortuna, poco importa se scurrili come quella scultura col medio sollevato, o per alcuni blasfeme come quel papa polacco folgorato da un fulmine. Da quei ritorni al sorriso infantile che Jeff Koons confeziona gonfiando palloncini o preservativi giganti ?

Invece trovatemi un solo pittore che indulga al divertimento puro. A me viene in mente solo Arcimboldo. L’acido cabaret di Grosz. Forse qualche volta Depero. Un tris di rondini che non fa primavera.

giuseppe brunetti2Quantomeno singolare che sia uscito di buon umore dalla mostra con cui Giuseppe Brunetti ha presentato i suoi ultimi lavori, una trentina di oli di varie dimensioni, nella sala della Galleria Silber in viale Regina Margherita 92, a Roma. Perché Brunetti, nonostante abbia appena varcato la soglia dei settant’anni, è un pittore a cui piace divertirsi e far divertire. Un po’ per carattere, credo. Un po’ per la voglia di scaricar la tensione, per la ricerca di aria diversa da quella che respira nel suo studio di restauratore di dipinti antichi. Alla leggerezza liberatoria del riso Giuseppe Brunetti arriva miscelando tre ingredienti diversi: una tavolozza di colori pastello in cui le sue figure galleggiano come foglie al vento; la costante presenza di modelli rubati al mondo animale, i suoi preferiti sono i pesci e le lumache, che mette in posa su fondali di cieli turchini, paesaggi urbani e visioni d’interno; una pennellata secca e precisa che sfrutta gli artifici della prospettiva e le bizzarrie di inserti geometrici per congelare l’azione, distillare situazione e contesti grotteschi e spaesanti, modulare la battuta che il titolo di ogni quadro anticipa e traduce.

Ecco il suo autoritratto ritagliato da una porta e di fronte un’altra sagoma tonda con addosso una mascherina da carnevale: Guardiamoci in faccia, suggerisce la didascalia. Ecco una limaccia che avanza su un fondale da teatrino trainandosi appresso il suo guscio: L’invenzione della roulotte. Difficile trattenere il riso. Eppure è solo pittura, che funziona finché si mantiene in superficie. Ogni quadro è solo ciò che appare, quel guizzo di fantasia che tiene in piedi il tutto. Se il gioco di metafore si complica, se sulla scena appare una figura umana, cioè un carico di problemi e sentimenti più intenso, l’effetto sembra svaporare, lo sberleffo diventa maniera. È un riso, quello di Giuseppe Brunetti, inchiodato alle due dimensioni.

Un mistero per burla.

Facebooktwitterlinkedin