Erminia Pellecchia
«Metamorfosi del segno» a Vietri sul mare

Una Costiera d’arte

Positano, Minori, Amalfi, Ravello: la loro luce e i loro miraggi si ritrovano in una bella mostra che racconta come intellettuali e artisti, nel corso del Novecento, hanno dipinto questo paradiso

«Quant’è bello guardare, come Ulisse, in un giorno chiaro il Golfo di Salerno verso sud-est, con sullo sfondo la ripida costa afosa e le montagne cristalline. Si abbandonano gli dei di oggi e si scopre il nuovo, un se stesso perduto, mediterraneo, anteriore». Capri, 1920,  David Herbert Lawrence ferma in una lettera «l’ansa di azzurro», la luce unica, mitica e irreale della Costa d’Amalfi, «la luce dello spirito umano», gli fa eco Oskar Kokoscka, folgorato dalla visione di Positano nel suo primo viaggio a sud di Napoli nel 1913. È sull’altro viaggio, quello interiore, che si sofferma la mostra Metamorfosi del segno, visibile fino al 19 ottobre a villa Guariglia Raito di Vietri sul Mare, primo avamposto dei territori del sole che catturarono con la loro dimensione onirica – eppure «più reale del sogno» agli occhi di Walter Benjamin – gli intellettuali stranieri in cerca di approdi dell’anima.

peter rutaNon più sulle rotte romantiche tracciate dal Grand Tour di Sette-Ottocento, spiega il curatore Massimo Bignardi, bensì “on the road”, sulla mappa di orizzonti immaginati e agognati; la strada è quella della «libertà, della pienezza dell’essere», la bussola il cuore che, ad ogni passo, invita alla scoperta di un mondo da percepire oltre il visibile. È la molteplicità della visione, propria del viaggio contemporaneo, infatti, il campo di indagine del critico sessantenne che, lo confessa nel saggio introduttivo al catalogo, ha l’urgenza, «nel disagio ideologico proprio della mia generazione», di accompagnarsi ai «viaggi altrui», agli «sguardi estranei» per spingersi «in territori non ancora esplorati dello spirito».  Alla ricerca di quella «piccola felicità» che Escher trova «nelle minuscole cose», un fiore, una pianta, una casa aggrappata alla roccia, la striscia blu del mare che si stende – lo suggerisce Enzo Cocco – come «l’aperto del pensiero».

Il percorso espositivo – si sgrana dagli anni Venti all’ultimo decennio del secolo breve  attraverso cinquanta opere tra dipinti, disegni, acquerelli, ceramiche e batik – parte proprio da Maurits Cornelis Escher, cui il Chiostro del Bramante, a Roma, dedica (fino al 22 febbraio 2015)  un’accurata antologica (clicca qui per leggere la recensione di Danilo Maestosi). Due dettagli: una matita su carta del 1931 che raffigura la chiesa di Santa Maria dell’Ospedaletto e una xilografia del febbraio del ’32 titolata La chiesa di San Cosimo. Un interno e un esterno, modellati quasi come un gioco di incastri, l’architettura umana e quella divina in dialogo empatico,  due “ritratti” dell’amata Ravello «dove – annota nel Libro degli Ospiti della pensione Toro – la natura dà refrigerio a chi il sangue nederlandese scorre nelle vene oramai solo a fatica per la contaminazione con macchie fredde ed estranee». «Questa mostra – sottolinea Bignardi – ha due polarità: la prima è Vietri sul Mare, l’idea della ceramica, delle fornaci, delle forme, delle tradizioni: la normalità che placa l’inquietudine; l’altra è Positano, il luogo del rifugio di chi attraversa il Brennero in fuga da un’Europa violentata». Migrazioni verso la “terra nuova” idealizzata, sulla lezione di Burckhardt e Nietzsche, come “dimora perduta”.

Max Pechstein.ijpgLe pareti della dimora vietrese dell’ambasciatore Raffaele Guariglia diventano pagine di diari. Quelli dei russi e degli ucraini scappati al terrore della Rivoluzione d’Ottobre,  dei giovani intellettuali tedeschi sfuggiti alle camicie brune di Hitler, dei poeti della beat generation degli anni Cinquanta e Sessanta, delle esperienze di artisti più recenti anche loro animati dalla necessità di ritrovare, nella luminosità della Costiera, l’accesso alle fonti più profonde della vita. Metamorfosi. Si arriva, si scopre il paesaggio, lo si osserva, ci si immedesima, lo si traduce in astrazioni. La suggestione della mostra è tutta qui: nel confronto tra il prima e il dopo. Ecco Ivan Zagaruiko (nella foto accanto al titolo), un olio su cartone del 1936, Sopra di Positano, la pennellata liquida, mare e montagna un mondo capovolto. Il pittore ucraino giunge a Positano, dove da inizio Novecento si è insediata la piccola comunità di russi intorno alle stelle Semenoff-Massine, nel 1928. Non andrà più via. Ecco l’alsaziana Lisa Krugell a Minori, il suo Carrubo, dal forte impianto fauve, datato 1939 e l’acquerello naif su cartoncino Amalfi, è sempre lei dieci anni dopo. Ecco il realismo magico, la rinnovata sintassi del colore di Max Pechstein, tra gli esponenti di spicco della Brucke, a Positano nel 1925. Il dipinto esposto, una Conca dei Marini (nella foto sopra), osservata a volo d’uccello, il borgo quasi ingoiato dal flusso frenetico delle onde, non ha firma. I dubbi, però, sono fugati se lo si mette a confronto con quello, quasi identico della Baia di Monterosso. Due pezzi carichi di fascino. L’autore è Han Harloff, belga formatosi alla scuola di Bonnard. Il primo è l’inedito dipinto, proveniente dalla sua casa di Praiano, Donna con cappello, o meglio Donna in verde dal colore saturo dell’abito (nella foto qui sotto). Una scritta recita «Parigi 1935». Accanto una insolita veduta della Valle dei Mulini di Positano, siamo alla metà degli anni Cinquanta, non c’è più indugio alla raffigurazione minuziosa, solo una sintesi fatta di luce.

Han Harloff Donna con cappelloVicino occhieggia un disegno di Kokoschka, nel 1959 ospite a Positano di Wilhelm Kempff. Ritrae il volto di un uomo, potrebbe essere Harloff, in comune l’amicizia col compositore tedesco, ma l’ipotesi appare azzardata, perché è troppo vecchio. La prospettiva di un’oasi di pace.Tra gli esuli tedeschi c’è Kurt Craemer, nella sua casa-studio di Positano si riuniscono, tra gli altri, il filosofo Armin Wegner e sua moglie Irene Kowaliska, Peter Ruta, Karli Sohn-Rethel, «persone con le quali vale la pena di vivere, parlare e bere insieme, in un posto in cui ci si sente sicuri mentre le leggi dell’umanità sono in disprezzo». L’arrivo, primi anni Trenta, con il pittore non ancora costretto dalla poliomelite alla sedia a rotelle. Poi il soggiorno felice, malgrado la malattia. Due nature morte delineano le tappe: la prima dall’impianto che strizza l’occhio a Matisse, anche se maggiormente composto; la seconda più chagaliana, il colore predomina, gli oggetti perdono il contorno. Un piccolo omaggio a Sohn-Rethel, una scena di pescatori intenti alla catramatura di una barca. E l’altro a Vassillij Necitailov, adottato ad Amalfi col nomignolo di don Basilio, le due “icone” della Madonna di Posa Posa troppo grandi per essere esposte, una “Venezia” per cogliere in parte il suo realismo mistico. Come scatole cinesi si offrono alla vista altre “metamorfosi”. Dalla collezione Aonzo due capolavori: le Vele oniriche di Bruno Marquardt e l’Uomo di spalle dello spagnolo Eduardo Arrojo, sfuggito alla polizia franchista ed ospite col poeta Corso della storica famiglia di albergatori positanesi. Personaggi da romanzo. Ecco Peter Ruta, emigrato negli Stati Uniti nel 1936 e, nel 1953 a Positano richiamato dall’esperienza dell’Art Workshop di Edna Lewis. Luce-colore, la metafisica del reale esaltata da quel «luogo appartato dal tempo e dai suoi eventi», un Vaporetto naviga placido indifferente al tremolio del vento. Primissimi anni Sessanta, la sirena Positano ammalia l’albanese Ibrahim Kodra. Insegnerà pittura all’Art Workshop, crocevia della contemporaneità e calamita di figure “in transito” come Andy Warhol e Mick Jagger. In mostra c’è una Figura del 1966, un dono spontaneo ad un’amica.

peter willburgerLe due grandi carte di Simon Fletcher, ospite di Bruno Mansi a Ravello tra il 1993 e il 1995 chiudono la prima parte del percorso, che prosegue all’interno del museo della ceramica di villa Guariglia innestandosi con i grandi vasi e piatti dell’ungherese Amerigo Tot, le figure presepiali di Margarete Thewalt Hannasch, i batik di Richard Dolker, le scene popolari di Irene Kowaliska. A far da cerniera-passaggio, con le sue foglie-pesciolini, l’ideale protagonista di questo viaggio metamorfico: Peter Willburger (nella foto qui accanto, una sua “mattonella”) in movimento dal Tirolo all’Africa, dalla Spagna al Cilento e alla Costiera. Si fermerà a Raito, racconterà le sue perigrazioni nel mito con l’alchemico lavoro di incisore. La Meridiana del suo tempo si è bloccata troppo presto. Ma le sue Coste ci invitano a viaggiare verso l’origine e a sentirci a casa nei paesaggi dell’anima. Riprendere il viaggio. È il monito raccolto dalla moglie Eva e dalla figlia Tonia che hanno dato vita al Maac-Modern Art Amalfi Coast Centre Peter Willburger, un portale, un museo del viaggio vivo, una finestra sulle contaminazioni avvenute e su quelle che avverranno.

Facebooktwitterlinkedin