Cesare Milanese
Un curioso esordio letterario

Interpretando Vasco

Strettamente filosofica ma insieme lirica l'opera prima di Michele Caporale, “D’io Vasconvolto”, dedicata al cantautore di Zocca. Per il quale l'autore fa ricorso a Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger, senza trascurare le vie del mito...

La quarta di copertina dice: «Michele Caporale è nato a Potenza. Ha conseguito la laurea in Lettere Moderne sostenendo una tesi in filosofia teoretica su Vasco Rossi (lavoro pubblicato sul sito del Blasco). Attualmente svolge lavori occasionali. D’io Vasconvolto (Albatros, 87 pagine) è il suo esordio letterario». Evidentemente qui c’è un situazionista che ha trovato sia la sua situazione e anche il personaggio che la impersona, al meglio, secondo lui, sia musicandola e sia cantandola, via rock spericolante, ben s’intende. Perciò Michele Caporale, a questo punto, s’incarica d’illustrare, di commentare e d’interpretare il personaggio globale Vasco Rossi, accompagnandosi a lui con pagine da aperta scrittura partecipativa, più che da stesura da critico di mestiere. E lo fa, indotto a ciò, dalla fascinazione che ne ha ricevuto, essendone restato, prima di tutto, «sconvolto». Deriva da ciò il titolo del suo saggio: D’Io Vasconvolto. Al secolo, Vasco Rossi.

E chi non sa chi è Vasco Rossi? Gli Io, che lo sanno, costituiscono ormai, e da tempo, una vera moltitudine che va ad accumularsi ad altre nuove moltitudini che via via si succedono, per legge di successo. Ma forse non è proprio così tra i filosofi, anche perché costoro non costituiscono mai moltitudine. Tuttavia Michele Caporale vi fa rientrare anche loro. Cosa che si può benissimo capire, nel caso di filosofi addetti all’estetica e all’etica: tanto l’opera quanto la vita di Vasco Rossi costituiscono materia di questi due generi di pertinenza. Ebbene no: non basta. Caporale affronta il soggetto Vasco Rossi in sede di filosofia teoretica. Il che vuol dire che intende fare del personaggio in questione una questione riguardante qualche categoria particolare dell’essere? È cosa questa che, comunque, non può non suscitare per lo meno un moto di curiosità mista a sorpresa.

copertinaTanto più che per buon tratto del suo libro, Caporale ci parla del «manifestarsi» dell’evento Vasco Rossi in linguaggio filosofico “stretto”, cui segue, ovviamente, una prosa conseguente, anch’essa ristretta, come si conviene alle filosofie del presente-presente, quelle che vanno dall’attualismo al situazionismo, per l’appunto. E in questo il Caporale è anche bravo, bisogna dirlo: puntualmente opportuno e puntualmente originale, soprattutto nel saper valersi dello strumento più idoneo nella pratica di discorso nelle filosofie di questo genere, la dovuta energia. Inoltre, come ben si sa, dove c’è energia c’è anche letteratura. Il che ovviamente è un bene.

Ma torniamo al punto: a quel suo procedere in “filosofico stretto” (sia pure solo per una parte del suo scritto, perché per un’altra parte egli procede piuttosto in “lirico allargato”, anche troppo). Ci sarebbero, quindi, in campo, una parte teoretica e una parte patetica (nel senso da immedesimazione intensivamente partecipativa). E per la prima parte siamo, evidentemente, anche nell’arduo e nell’impervio. Come dimostrano i nomi. E quali nomi! Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger. Tutti nomi che, veramente, “battono molto in testa”. Infatti, con costoro in linea di discorso, ci si trova a essere ben più in là, e ben più in su di Guy Debord, il filosofo clochard, per esempio. Un acuto in analisi, certo, nel suo genere, ma pur sempre un propalatore sciamanato (proprio nel senso di sciamano) del libero esistere da clochard. E siccome per il situazionista Michele Caporale, Vasco Rossi sarebbe (è) autore da “pensiero” dello stesso genere d’esistere, anche costui è da considerarsi un praticante della stessa categoria da umanità «alla va là come la va».

Avrà ragione? Non avrà ragione? Questione comunque da essere spartita tra appartenenti e competenti, anzi affiliati, del sito, del rito e dei temi posti in causa dagli effetti da sconvolgimento che procedono dalla fenomenologia di tutti i Vasco Rossi del mondo: i citaredi elettrificati del Ventesimo e del Ventunesimo Secolo. Evidentemente il giovane filosofo Michele Caporale, un affiliato a questo vento musicante del secolo lo è. Quella musica, per lui, essendo un fatto di vita è anche un fatto di filosofia ed essendo un fatto di filosofia è anche un fatto di vita: e così il cerchio si chiude come un ragionamento ben riuscito. Buon per lui. E, infatti, lui ci filosofeggia dentro appassionatamente e imperterritamente. Ed è qui, su questo incrocio d’esperienza e di conoscenza, tra lessico arduo da filosofi ardui e lessico lirico da rapito in gloria, che Caporale si effonde in un tipo di scrittura dagli sviluppi compositi e interessanti. Non può, infatti, non essere apprezzabile quel suo particolare ricorso a quel metodo semiotico o parasemiotico, tutto suo, con cui l’autore a volte procede per disgiunzioni e congiunzioni sulle variazioni degli etimi usati: per esempio, quando la locuzione “noia” diventa noi-a; la locuzione “dio” diventa d’io; e la locuzione “vascocoinvolto” diventa “vascosconvolto” (già in copertina). Sono esempi, questi, in cui, proprio per insistere sull’esempio da paradosso, Lacan verrebbe “situato” sull’altalena del compiacimento di sé. I lacaniani, difatti, sono tutti un po’ così, sacrali e narcisisti. Come peraltro lo sono tutti i cantautori dei nostri due secoli: sempre anch’essi, come i lacaniani, nell’altalena tra narcisismo e aura da sacralità in forma d’irriverenza. Non è così, forse, anche per Vasco Rossi?

Eh, ce ne sono di cose, a volerle cercare, in questo breve libro di Caporale. E sempre per esempio, se si volesse, inoltre, Inoltre, procedere per via d’analogia, non verrebbe a mancare il giusto richiamo a una mitologia esplicativa, tipo: c’era una volta il pifferaio di Hamelin, il quale era solito irretire a sé le moltitudini dei ragazzi, attratti dall’incantesimo di una musica da elegia. Fu, quella, una chiamata al nirvana. E vuoi che la musica d’oggi non possa e non debba esserlo altrettanto, una chiamata al nirvana? Anche se oggi questa chiamata avviene più per musica da dissonanza che per musica da consonanza. E, infatti, il tempo ha dimostrato che anche i frastuoni da disforia sanno produrre effetti attrattivi d’euforia. Il rock sta lì a dimostrarlo. I suoi devoti dispongono perfino di una preghiera apposita: “Dacci oggi la nostra scossa da chitarra elettrica quotidiana!”. Il ciò che occorre, insomma, sia per essere tanto “vascocoinvolti” quanto “vascosconvolti”. Il “vascosconvolto” Michele Caporale, a un certo punto, così scrive (e a dir il vero lo scrive anche bene): «Il cuore è stranamente sgombro, leggero, sospeso, tra “timore e tremore”. Prolungare l’attesa – mi chiedo, sempre più frastornato – per evitare l’amarezza della fine, o essere già nel turbine di suoni e di odori, come una festuca nel fiume di quella vita che ogni volta pulsa con fremiti febbrili, o palpita con ovattato, impaziente vociare? Non so. Cammino come a un palmo dalla terra, quasi portato da una forza magnetica che mi spinge con violenza dolce e inesauribile…». Verso il concerto rock (di Vasco Rossi) per l’appunto, perché: «Il concerto è approdo sicuro, radura aperta, cerchio luminoso, è l’idea della vita che accoglie e disperde, sorprende e ri-prende».

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