Danilo Maestosi
Una mostra al museo Bilotti di Roma

Sognatori aborigeni

Un artista australiano, Imants Tillers, insegue il mito di Giorgio De Chirico cercando di ritrovarlo nell'arte delle origini del suo Paese

Tre diversi modi di inseguire e rappresentare la trama sottile dei sogni a confronto nella mostra Dreamings in cartellone fino a novembre al museo Bilotti di villa Borghese, a Roma. Il primo è quello sovraccarico di valenze sciamaniche degli aborigeni australiani che assegnano alla pittura il compito di evocare gli archetipi ancestrali della loro cosmologia, indicare i sentieri percorsi da dei ed eroi delle origini, tramandarne le storie: lo documenta un fascinoso campionario di lavori eseguiti da pittori di varie tribù del deserto centrale e raccolti da un duo di collezionisti australiani, Sordello-Missana, che finanzia questa trasferta romana. Il secondo è quello colto e visionario di Giorgio De Chirico, padrone di casa di questo museo che espone una ventina di suoi capolavori e a cui questa rassegna rende doveroso omaggio. Il terzo è quello, di Imants Tillers, 64 anni, pittore e scrittore australiano di origini francesi, chiamato alla ribalta come figura ponte per sostenere un copione di rimandi, comunque piuttosto forzato: come artista, votato per scelta concettuale alla citazione, ha costruito la sua fortuna proprio saccheggiando e rielaborando l’immaginario metafisico di De Chirico; come intellettuale ha collaborato tra i primi alla riscoperta e alla sdoganamento dai recinti d’elite degli antropologi dell’arte dei nativi australiani, avvenuto alla fine degli anni Settanta. Un processo faticoso e ancora incompleto d’integrazione culminato con la creazione nei territori desertici dell’Australia centrale di una rete di comunità di pittori autodidatti incoraggiati a riprodurre su carta e su tela i misteriosi grafemi con cui i loro antenati perpetuavano la loro mitologia. Laboratori che ormai alimentano una ricca fonte di produzione seriale di souvenir per galleristi e turisti, nella quale l’ispirazione originaria si sta fatalmente snaturando.

arte Aborigena1Da lì provengono gli oltre cinquanta lavori, che sono la calamita principale di questa mostra. A colpire a prima vista è la presenza dominante di colori terrosi, rossi e gialli ocra in particolare: convertiti all’acrilico gli artisti aborigeni continuano a simulare l’uso di pigmenti naturali e a specchiarsi nella tavolozza povera del paesaggio circostante.

Altro tratto comune è la tecnica delle pennellate, stese a piccole tacche, come nei quadri dei puntinisti francesi, o a strisce, o a spirali. Con un effetto di decorazione che svia il giudizio, perché quelle che ci troviamo di fronte sono in realtà una sorta di mappe del tesoro, che riproducono i sentieri e le presenze invisibili di un pantheon primitivo di divinità naturali, le coreografie dei riti con cui sono evocati, oppure quinte e punti di sosta, come colline, pozzi, sorgenti. Dipingendoli con questo cifrario misterioso gli artisti garantiscono la sopravvivenza di tutte queste storie, ma ne camuffano e rendono indecifrabili i tratti. Mantengono insomma intatto l’enigma, proprio come fa, seguendo i versanti della cultura classica, De Chirico. E come prova a fare Imant Telliers, miscelando nelle sue tele le icone del pittore metafisico italiano e i segni degli aborigeni.

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