Danilo Maestosi
A Villa Bertelli di Forte dei Marmi

Anarchia astratta

Dopo oltre mezzo secolo, una mostra recupera il fervore (e la genialità creativa) del gruppo di Art club: Guzzi, Fazzini e Montanarini. Sotto la guida post-futurista di Prampolini e Severini

Art club. La sigla che dà titolo e corpo ad una delle più intriganti mostre del cartellone estivo, in corso fino a fine luglio a Villa Bertelli a Forte dei Marmi in Versilia, è ormai caduta nell’oblio, una pagina di storia dimenticata. Eppure l’associazione di autori che, battezzata con quel nome, dominò la scena italiana per quasi un ventennio, fu un prezioso motore di rilancio dell’arte italiana dopo le devastazioni della guerra. Un veicolo di solidarietà, collaborazione , iniziative inedite che riuscì a ridare spinta e rilievo internazionale ad un ambiente culturale frantumato e ripiegato su se stesso, che scontava la sindrome di isolamento imposta dal fascismo e le divisioni messe in circolo dal suo tragico crollo. Evitando e aggirando le insidie dell’ostracismo e dell’emarginazione che minacciavano gli artisti che in vario modo, a volte con forti riserve, avevano convissuto col passato regime. E quelle non meno devastanti dell’omologazione culturale e dell’ottusità ideologica germinate nel clima della guerra fredda.

luigi MontanariniFondata nel 1945, a pochi mesi dalla Liberazione da un manipolo di artisti come Guzzi, Pericle Fazzini, Luigi Montanarini (nella foto), che lavoravano o gravitavano negli studi di via Margutta, da due reduci del secondo futurismo come Prampolini e Severini che avevano mantenuto vivo il rapporto con la Parigi delle avanguardie, e da un pittore polacco, Jospeh Jarema, cresciuto in Francia e poi approdato in Italia con l’esercito alleato, l’associazione rivendicava come primo obiettivo la volontà di riassegnare all’arte il compito di ricostruzione sociale e culturale e di definizione di nuovi traguardi ideali. E di riallacciare il dialogo interrotto sotto il fascismo con il resto del mondo e le punte più avanzate della ricerca artistica. In piena libertà, senza alcuna forma di discriminazione di stile o impostazioni politiche. Coinvolgendo intellettuali di altri campi, come Moravia, Ungaretti, Sinisgalli, Venturi. Collaborando con altre istituzioni pubblica: strategica e vincente la sintonia d’intenti con la Galleria nazionale d’arte moderna dove decollava l’astro di Palma Bucarelli, il lavoro di sponda con le Accademie di Belle Arti, con il ministero degli Esteri, decisivo per rimettere in circolazione la produzione egli artisti italiani.

Ma con un’autonomia dalla politica e dai suoi apparati di costruzione del consenso che resta la vera conquista dell’Art club: Gino Severini, commentando la statuto di fondazione, esaltava come una fortuna l’assenza in Italia di un sindacato artisti e altre forme di organizzazione dall’alto ed esortava gli associati a non lasciarsi in alcun modo irreggimentare. In pochi anni in questo clima di fervore anarchico il ruolo dell’associazione crebbe a dismisura. Nacquero sedi e filiali molto attive nelle più importanti città italiane e succursali negli Usa e in vari paesi europei. Si vararono mostre circolanti di grosso spessore e richiamo. Si riaprirono ai nuovi linguaggi le ribalte della Quadriennale e della Biennale di Venezia.

balla art clubGabriele Simongini, curatore di questa appassionante rivisitazione, sgrana lungo il percorso opere di prima scelta, recuperate da collezioni private, a documentare in tutte le sue sfaccettature, la dimensione d’alto livello dell’arte italiana in questa fase di pieno rilancio. Ma si sofferma soprattutto a sottolineare la svolta che dall’inizio degli anni Cinquanta portò l’Art club ad abbracciare e sostenere le ragioni dei maestri emergenti dell’astrazione nella disputa contro i sostenitori del realismo figurativo che si fece sempre più velenosa con la discesa in campo a favore dei secondi del partito comunista. Tra le chicche della mostra c’è il recupero di una preziosa cartella di serigrafie, edita dall’Art club nel 1955, che testimonia la ricchezza e il valore di ricerca dei vecchi e nuovi maestri dell’arte astratta: Severini, Balla (nella foto), Prampolini, Soldati accanto a Magnelli, Munari, Dorazio, Afro, Perilli. E un siparietto dedicato a Luigi Montanarini, unico toscano del gruppo su questa ribalta della Versilia, grande insegnante d’Accademia e grande sperimentatore del crinale tra astrazione e informale.

Roma tornava ad essere una riconosciuta fucina di talenti, una tappa obbligata per i maestri di altri paesi, e gli autori italiani tornavano a suscitare interesse e mercato. Un processo che si interruppe purtroppo all’inizio degli anni Sessanta, quando, complice la Biennale di Venezia esplose il boom della Pop Art. E il barometro dell’attenzione e del business si spostò oltre Oceano.

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