Danilo Maestosi
Una mostra al Pastificio Cerere di Roma

Memorie di Polonia

Dagli orrori nazisti all'illusione comunista, dalla lotta per la democrazia alla rinascita: la storia di un Paese (e delle sue città) vista attraverso la lente dell'arte conemporanea

Nell’iconografia dell’arte contemporanea la città è un punto di riferimento privilegiato. Perché prima ancora di uno spazio fisico rappresenta uno spazio mentale: una sponda perfetta per una creatività che tende a confrontarsi con la realtà usando un sillabario prevalentemente concettuale. Perché è un concentrato di segnali, facilmente tramutabili in segni. Di umanità in transito. Di memoria e proiezioni verso il futuro. In queste dimensioni complesse trova senso e cornice la mostra che, su impulso dell’istituto di cultura polacco a Roma, ospita nelle sale del Pastificio Cerere in via degli Ausoni le opere di una decina di artisti locali impegnati a riflettere sulla trasformazioni di una metropoli come Varsavia, che ha impresse sulla sua pelle tutte le ferite del Novecento: il tragico dominio del nazismo, la distruzione e i bombardamenti, l’avvento e la caduta del comunismo, la rinascita e la ricostruzione nel segno della speculazione.

Un laboratorio di storia (quella della Polonia) stratificata e ancora in gran parte da metabolizzare e un orizzonte di grandi attese, delusioni, conflitti su cui lo sguardo degli artisti prescelti per questa tournée a tema oscilla tra nostalgie e fughe utopiche. Possono essere i fantasmi del vecchio ghetto ebraico, raso al suolo dai nazisti e ora seppellito da colate di cemento che ne hanno interrato le ultime tracce sotto le fondazioni di grattacieli e palazzi. Può essere il rimpianto per i mercatini ormai espulsi dalle zone pregiate del centro. Può essere la difficile convivenza tra i casermoni a stampo, che comunque salvaguardavano spazi di verde comune, e i profili asettici gli snodi viari della nuova città che sale verso l’alto. Identità sovrapposte e inconciliabili che gli autori in mostra registrano affidandosi soprattutto al linguaggio freddo della fotografia. Oppure all’ostentazione di cimeli da arte povera.

polonia2I relitti del recinto di una scuola che Agnieska Kalinowska ha recuperato da una discarica e allinea sul pavimento dopo averli coperti di tappetini di ricami che simulano strati di muschio. O la scheggia di cemento armato con uno spuntone di ferro a punto interrogativo che Miroslaw Balga ha piazzato di fronte a un campionario dei suoi disegni. Testimonianze che l’impianto concettuale asciuga fin quasi ad inaridirne l’impatto emotivo: sottratte per questa trasferta romana alla città in cui hanno preso vita perdono la forza di messaggio e denuncia.

L’opera più intrigante è forse la documentazione fotografica di una performance di Konrad Pustola: un repertorio di vedute dall’alto scattate dalle finestre dei Palazzi del potere, ministeri, centri di governo, uffici di polizia e poi riprodotto in scala gigante da poster appiccicati sulle facciate di palazzi di periferia. Una provocazione che sfiora però illusione e menzogna: ben poca cosa avere il controllo di una città a giudicare dai panorami, anonimi, su cui chi lo detiene si affaccia. Il vero volto del potere, la patologia dei suoi unti di vista, ora che si camuffa da democrazia, si esibisce e si coglie solo all’interno di quelle stanze, non dalle loro finestre e balconi. Nel suo modo di abitare una città e lasciarci la propria impronta.

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