Luca Fortis
Dopo le elezioni presidenziali

L’Egitto dimezzato

Solo la metà degli elettori egiziani ha consegnato una vittoria "bulgara" al maresciallo Al Sisi. È quasi un avvertimento: nessuna carta bianca, il processo riformatore deve andare avanti

Archiviate le elezioni presidenziali, l’Egitto entra in una nuova fase: difficile dire se di stabilità o di nuovi disordini. Il paese è ormai per definizione imprevedibile e solamente i prossimi mesi permetteranno di capire cosa accadrà lungo le acque del Nilo. Al Sisi ha vinto le elezioni con il 96,9 %, ma ha dovuto far votare un giorno in più per raggiungere l’agognato 47% di affluenza. Questa mossa gli permette di dire di aver almeno ottenuto il medesimo dato del primo turno delle presidenziali del 2012. Al secondo turno la vittoria andò a Morsi, votarono poco di più della metà degli egiziani aventi diritto. Morsi al primo turno nel 2012 prese solamente il 24,78, mentre ora il maresciallo vanta un dato bulgaro in un’elezione considerata democratica da tutti gli osservatori internazionali, compresi quelli europei, che pur rimanendo scettici sull’allungamento di un giorno, hanno comunque detto che il risultato non è stato falsato. Nel secondo turno Morsi prese il 51,73, ma fu aiutato dai Salafiti che questa volta hanno dichiarato, almeno a parole, di aver appoggiato Al Sisi. Inoltre, al secondo turno era arrivato Ahmed Shafiq, esponente del regime di Mubarak e questo convinse molti rivoluzionari laici a scegliere il candidato dei Fratelli Musulmani.

Bisogna però dire che, a queste ultime elezioni, più della metà degli egiziani, per vari motivi, non è andata a votare. Molti osservatori pensano che questo potrà indebolire il nuovo presidente. Io credo invece che sia un segnale positivo quello lanciato dall’Egitto ad Al Sisi: una gran parte dei votanti ha infatti voluto dirgli che non gli consegnano una carta bianca. Molte persone, pur avendo voltato le spalle ai Fratelli Musulmani, non vogliono di certo tornare ai tempi di Mubarak e i numerosi arresti tra i laici degli ultimi mesi sono stati sicuramente un grande errore che ha fatto perdere molti consensi ai militari. I giovani rivoluzionari non si sono fidati di loro e Al Sisi, che ha sempre dichiarato di voler rispettare la nuova costituzione democratica egiziana, dovrà tenerne conto.

Un altro punto dolente è la lotta al terrorismo con le sue spaventose condanne a morte di massa che per fortuna dovrebbero essere commutate in gran parte in ergastoli. Ma l’Egitto ha imparato troppo in fretta dall’occidente che è lecito, quando si parla di terrorismo islamico, non rispettare gli standard internazionali nei processi. Nelle questioni di sicurezza nazionale, tutto è concesso. Questa politica, per noi, come per loro, rischia di essere controproducente e di rafforzare i fondamentalisti, con i loro fascismo religioso, invece di sconfiggerli sul piano morale e culturale.

Un’altra battaglia difficilissima che l’Egitto dovrà affrontare è quella economica: per ora il paese è tenuto in vita dai prestiti a fondo perduto dell’Arabia Saudita e di altre monarchie del Golfo, ma non si vedono piani economici che possano davvero convincere investitori a mettere i loro soldi nel paese. Gli interessi geopolitici americani, russi e sauditi non potranno essere utilizzati dall’Egitto per sempre, l’abile gioco dei militari, che mettono in concorrenza gli interessi di Washington e di Mosca, non basterà a fa ripartire l’economia. Il nuovo governo dovrà per forza affidarsi a economisti esperti se vorrà fa ripartire il motore del paese.

La situazione egiziana non è ancora chiara, il paese potrebbe diventare una dittatura, come alcuni temono, o potrebbe più facilmente trasformarsi in una fragile democrazia piena di ambiguità, non dissimile da quelle europee del dopoguerra. Alla fine degli anni Quaranta molte giovani democrazie occidentali furono lo scenario di sanguinosi regolamenti di conti, ambigue amnistie o processi sommari. Solo il tempo dirà se i quasi mille morti egiziani di questi mesi saranno il preludio di una dittatura, o sono la sanguinosa conseguenza di un processo rivoluzionario di più di due anni che ha avuto fasi alterne, di cui alcune veramente drammatiche.

Personalmente penso che la rivoluzione non potrà essere cancellata, e che il paese diventerà una democrazia ambigua e fragile, ma fare previsioni in Egitto è un’arte difficile e solamente il tempo chiarirà che strada avrà preso il paese. Proprio per questo, l’Unione Europea e gli Stati Uniti non dovrebbero isolare l’Egitto, ma cooperare vigilando che non si torni all’epoca di Mubarak.

 

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