Simonetta Milazzo
Una mostra di Giancarla Frare

La città degli artisti

A Roma, a due passi da Piazza del Popolo c'è un'enclave di campagna e di arte sopravvissuto ai tempi e al cemento. È il centro Flaminia 58: un luogo che mescola storia e ricerca

Un’enclave artistica di idee, di opere e di mestiere. A Roma, a pochi metri dalla Porta del Popolo c’è un luogo, un po’ nascosto, sconosciuto ai più, cui si accede da un cancello al numero 58 di via Flaminia; si sale una scala di pochi gradini ed è subito campagna. Un breve percorso tra vegetazione di arbusti, fiori e alberi, poi, appena distinguibile nel verde, un agglomerato di piccoli manufatti addossati tra loro e sul retro un viottolo agreste delimitato da un alto muro a contenere la collina della Villa Strohl Fern. Tutto è intatto, non solo perché nel secondo dopoguerra si è posto freno a un esproprio che del luogo avrebbe cancellato l’esistenza, ma anche perché architetti, pittori e numerosi artisti che hanno in seguito raggiunto la notorietà, ininterrottamente dagli anni Trenta, lo hanno eletto come proprio atelier, a volte condiviso, in affitto dalla famiglia Piccolomini Blank, poi dal Comune di Roma.

via flaminia 58Dal 1988 è, con merito, sede dell’Associazione Operatori Culturali Flaminia 58 e della Galleria Bruno Lisi.

Studiosi, studenti dell’Università La Sapienza e visitatori delle attività espositive, accedono in quello che può essere definito uno spazio “sensibile”, luogo d’incontro, di scambio, di comunicazione, immutato nel suo aspetto morfologico e costruttivo, carico di senso. A cominciare dal precursore, l’architetto Tullio Dell’Anese (uno dei vincitori del Concorso per la realizzazione della sede della Biblioteca Nazionale Centrale al Castro Pretorio), si ha notizia e si conservano testimonianze della presenza negli atelier, lungo ottanta anni, di un centinaio di artisti; tra essi, il pittore Franco Gentilini, lo scultore Venanzo Crocetti, il pittore Ugo Attardi. Nel secondo dopoguerra aveva il suo studio l’architetto e scenotecnico Virgilio Marchi, già esponente del movimento futurista, di cui si conservano due esemplari di straordinarie poltrone, ora collocate nello studio del ceramista e scultore Enzo Rosato che è tra i fondatori dell’Associazione.

Proprio accanto è lo spazio espositivo – aperto dal martedì al venerdì dalle ore 17.00 alle 20.00 – doverosamente intitolato a Bruno Lisi, artista e animatore della struttura, mancato nel 2012.

piazzatta del ficoQui, dal 1988, ogni anno si svolgono una decina di mostre alle quali accedono, gratuitamente, artisti che indagano varie espressioni: dalla pittura, alla fotografia, alla grafica, al video, sotto la guida di curatori. Non si tratta solo di semplici mostre, ancorché scelte con rigore e impegno; è il caso della rassegna intitolata: 41° 54′ N – 12° 28′ E, che si è articolata dal 2010 al 2012 in differenti sessioni distribuite nel tempo. Una curiosa denominazione riferita alle reali coordinate geografiche del luogo che, con la curatela di Francesca Gallo, si è conclusa con l’edizione dedicata all’autoritratto e in particolare con l’emozionante video Il campo del possibile dell’artista Silvia Stucky.

In questi giorni e fino alla fine del mese di maggio la sala mostre è dedicata alle opere di Giancarla Frare con il titolo: Hic sunt leones.

Ma nessuna belva è in agguato sulle pareti. Alla ricerca del suo “medioevo asciutto” Giancarla, dopo essersi inerpicata attraverso una foresta e aver raggiunto la Certosa di Trisulti, trasformata nel settecento, si è trovata di fronte, a un certo punto, un leone di pietra scolpito nella prima metà del XIII secolo; pietra corrosa, un corpo accucciato su un basamento importante, a dispetto della ridotta dimensione dell’animale, di appena ottanta centimetri. Come spesso le accade quando nelle sue campagne fotografiche esplora le testimonianze antiche di quelle fasi storiche meno definite, meno razionali, appese tra un mutamento culturale e l’altro, al cospetto della “scena” l’artista riesce a penetrarne tutte le dimensioni possibili: quella fisica, quella temporale, quella spaziale e a impadronirsene.

viottoloPoco importa conoscere e ricostruire l’origine di una simbologia; non si tratta di stabilire l’idea di una funzione, sono compiti di altri; la Frare si offre per compiere con quel leone, con quel corpo, un viaggio fantastico, un viaggio interiore. Si applica così a perseguire una progressiva perdita del dato iniziale: in questo caso l’incontro con il leone di Trisulti che attraversa una perdita di identità e di senso per conquistarne un’altra. È come se volesse comunicarci: anche nella pietra si può ricercare il senso della vita. Così, soggiogata da tagli di luce e da neri profondi, la scultura si trasferisce su carta; mantiene spessore e rugosità, tradotta – ma con il ricorso a tecniche naturali – in immagine, in immagini. Sempre lo stesso animale, non più a guardia e cospetto sotto un protiro, (un sito comunque che lo hanno costretto a abbandonare) ma a condizionare un intorno diurno, a stagliarsi protervo verso l’alto, ad aspirare a uno squarcio di luce, talvolta quasi a soccombere.

La Frare è artista nota per l’attività di incisore; in questo suo lavoro totalmente inedito, non intende porsi un obiettivo estetico; tutte le componenti di segno, di colore o di assenza di esso, hanno senso; si imprimono a forza nel supporto proprio come la tecnica dell’incisione nel suo tipico processo di costruzione, con china, grafite e terre.

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