Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Il romanzo di Pertini

L'avventura di Pertini secondo Giancarlo De Cataldo; le memorie e i segreti editoriali di Klaus Wagenbach; la passione per la scrittura e i misteri di Franco Lucentini

Sandro.  Capitò il 22 maggio 1925, a Savona. Venne fermato un giovane avvocato di quella città, tale Sandro Pertini. Nel verbale d’arresto si leggerà: «Per incitamento all’odio tra le classi sociali». Appena sceso dalla corriera distribuì varie copie di un manifesto intitolato «Sotto il barbaro dominio fascista». L’indomani un maresciallo e un brigadiere dei Carabinieri  raggiunsero  casa sua. Si legge nel rapporto: «Senza indugio egli (Pertini, ndr) ci ha accompagnati nella sua stanza da letto e perquisita trovammo n. 14 copie piegate pronte per la spedizione, altre 100 sopra un tavolo nella stessa stanza tutte del medesimo manifesto». Questo è uno degli episodi di quel “sovversivo” che diventò poi Presidente della Repubblica (luglio 1978). È un passo molto importante nella vita di un ostinato antifascista, ed è contenuto nel libro del magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo, diventato famoso per Romanzo criminale: Il combattente (Come si diventa Pertini), edito dalla Rizzoli (220 pagine, 17 euro). Un testo impeccabile quanto a documentazione, e contrassegnato da un’indubbia tonalità affettiva.

il combattente De CataldoA interrogare Pertini, dopo il suo primo arresto, fu il sostituto Procuratore Ernesto Eula, cui ancora oggi è dedicata un’aula della Suprema Corte di Cassazione. Il futuro Presidente non si dimenticherà di lui e di fatto gli bloccherà la carriera. In ogni caso il dissidente Sandro venne processato per direttissima e condannato a otto mesi di detenzione (oltre un’ammenda). Poi amnistiato in appello. Fu il primo processo “politico” e per delitto di opinione celebrato dal fascismo in veste dittatoriale. Durante il dibattimento si respirò un’aria di bonarietà e di quasi tolleranza. La musica cambierà presto, tanto è vero che per quel genere di reati il regime istituirà i tribunali speciali, formati da militari e giuristi di assoluta fede fascista. Per ricordare il rapimento e la morte di Giacomo Matteotti, Pertini si mise nei guai ponendo sotto la lapide di Mazzini un nastro rosso e una corona di fiori con la scritta “Gloria a Giacomo Matteotti”. Gli squadristi spaccarono un braccio a Pertini e lo avvertirono: via da Savona oppure per lui sarà la morte. Se ne andò a Milano, e da lì organizzò la fuga di Filippo Turati. Fu un’avventura rischiosissima perché Sandro dovette tornare a Savona, ove probabilmente incontrò – ma non è certo anche se De Cataldo lo immagina – il fratello Pippo, schierato dall’altra parte politica. Turati venne portato in Corsica. Fu bene accolto, e da lì prese il mare di nuovo. Destinazione Nizza. A guidare l’imbarcazione da Savona fino a Calvi (Corsica) furono due marinai, tra cui Italo Oxilia che due anni dopo “fece il bis” facendo evadere dal confino di Lipari (Sicilia) Rosselli, Lussu e Nitti.

La libertà dell’editore WagenbachEditoria. Per chi pone e si pone domande sui meccanismi editoriali, segnaliamo, come curioso e interessante, questo libro pubblicato dalla Sellerio: La libertà dell’editore. Memorie, discorsi, stoccate. L’autore è il tedesco Klaus Wagenbach (Berlino, 1930), ed ha fondato l’omonima casa editrice, specializzata in testi contemporanei. In Italia, paese dove si reca spesso, ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il titolo di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica. L’università di Urbino gli ha conferito la laurea honoris causa. Gode di una fama mondiale per i suoi studi biografici su Franz Kafka. Il libro è composto di capitoli, a volte discorsi e conferenze, a volte interviste. In una di queste ultime, intitolata «Diffusione dei libri e libertà!, gli sono stati chiesti dei chiarimenti a seguito del sequestro di due libri da lui pubblicati: «Agenda rossa per apprendisti e studenti» e «La lotta armata nell’Europa occidentale». Alcuni autori dichiaravano apertamente di appartenere alla Rote Armee Fraktion, ossia membri del gruppo “Baader-Meinhof” (equivalente delle BR italiane). Ebbene, Wagenbach ha replicato affermando che «nella storia dell’operato della casa editrice il fatto che un autore fosse un “delinquente” …finora non è mai stato motivo valido per non pubblicare un suo libro. Vorrei ricordare Jean Genet (autore che è stato in carcere, ndr), Henry Jager e rei condannati per omicidio i cui libri furono pubblicati senza contestazioni». Insomma Wagenbach bada al contenuto, e non alla persona. Ha poi ricordato un caso francese, famoso. L’editore Seuil pubblicò Piccolo manuale della guerriglia urbana di Carlos Marighella. L’opera venne sequestrata e la casa editrice attaccata pesantemente. La vicenda ebbe uno strano epilogo: 23 case editrici francesi pubblicarono il medesimo titolo in un edizione comune. Nessun sequestro. Pochissimi anni fa Wagenbach, intervenendo a un dibattito sui rapporti Italia-Germania, sempre dal punto di vista editoriale, vide «un’intera squadra del Ministero degli Esteri Italiano che iniziò a leggere a voce alta una lunga lista di libri per i quali si chiedevano incentivi per la loro traduzione. Vidi i miei colleghi italiani impallidire: erano quasi tutti libri scritti dagli impiegati stessi, dalle loro mogli e dai loro amici. Mario Spagnol, di solito gentile e garbato, balzò in piedi e gridò: “Smettetela subito! I competenti siamo noi!”». Una bella lezione contro imbrogli, raccomandazioni e familismo.

copertina PaolinLucentini. I lettori di “succedeoggi.it” mi dovranno scusare, ma avverto l’intima necessità di tornare su un bellissimo libro che ho già segnalato, settimane fa. In quell’occasione evitai, più per commozione che obbedienza allo spazio tipografico, di raccontare il capitolo che, in Non fate troppi pettegolezzi, Demetrio Paolin (LiberAria editrice, 109 pagine, 10 euro) dedica a Franco Lucentini, suicida il 5 agosto 2002. Ho avuto alcuni incontri con quello straordinario scrittore dalla cultura vastissima, e ogni volta la sua presenza mi è entrata “dentro”. Compreso quel suo sorriso buono che, io penso, fosse da intendersi come triste commento sulle distrazione del mondo e sui propri tormenti. Nessun sarcasmo, semmai un umorismo cosmico. Ebbene, Demetrio Paolin (anch’egli commosso) lo ricorda in una vecchia trasmissione Rai, a colloquio col suo amico e sodale Carlo Fruttero: «Bofonchiavano parole, come se parlassero una segreta lingua conosciuta da entrambi». E annota che, se il torinese Fruttero era un uomo simpatico ma brutto, il romano Lucentini (trapiantato a Torino) era un uomo bellissimo, marchiato da «una sorta di tristezza contenuta e pudica; una tristezza tutta torinese». Quando Lucentini si mise a scrivere prima dell’alleanza letteraria con Fruttero, le sue pagine «non risultano minimamente simili a ciò che, un attimo prima, era baluginato nella sua testa. Accade a chiunque questo fatale arrendersi al fatto che le parole non saranno mai uguali ai pensieri e alla vita che abbiamo davanti ai nostri occhi mortali». Non è un caso che i suoi scritti di narratore “single” somigliano a un brusio costante, «voci satellitari e solitarie, che mai avrebbero comunicato e che divengono parte di un tutto che si tiene, e diventano un romanzo e una narrazione». Nel 1951 uscì il suo bellissimo I compagni sconosciuti: «Un libro fatto sul nulla… la storia di un uomo che si chiama Franco e che passeggia, nel dopoguerra, lungo le strade di Vienna». Nel testo mancano speranze e fiducia nell’avvenire. I piedi del protagonista si muovono tra le macerie della guerra. Il tema dominante del romanzo breve è il suicidio, inteso come “dato storico”. Come dire: che cosa resta all’Europa dopo le macerie di Dresda, dopo Auschwitz, dopo la distruzione di Cassino o la battaglia delle Ardenne? «L’uomo che si toglie la vita è l’Occidente che implode su se stesso» annota Paolin. E quel giorno pesantemente estivo del 2002 Lucentini compì un “salto” mortale: non per disperazione, ma per la presa d’atto di una condizione umana. Paolin conclude il capitolo così: «Scrivere è qualcosa di molto simile (all’uomo che sente il mistero, ndr), si cammina in maniera più o meno consapevole come morituri; poi, infine, un giorno, quando tutto è chiaro, come le montagne a corona di Torino nei giorni sereni, si salta».

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