Domenico Calcaterra
Infuria la polemica tra i divi delle lettere

Cordelli nella palude

Ha scatenato un putiferio il gioco dello scrittore/recensore che ha tracciato la mappa dei buoni e cattivi in letteratura. Più per spirito di polemica che per spirito critico.

Fa discutere l’intervento di Cordelli su «La Lettura» del Corriere della Sera di domenica scorsa, provocatoriamente intitolato «La palude degli scrittori». L’articolo si apre in medias res con una radente e idiosincratica stroncatura di due autori considerati ormai di riferimento nella narrativa d’«avanguardia» degli ultimi anni come Falco e Vasta, appuntando l’attenzione su alcuni sintagmi de La gemella H e de L’ubicazione del bene (le «sagome sudate», l’«aria accucciata») e su qualche passaggio del Vasta recensore proprio dell’ultimo romanzo di Falco, con quell’espressione – «messa in torsione dell’etica» – che Cordelli non riesce a digerire. A segnalare anche un meccanismo, peraltro vecchissimo, in verità non sempre ad ogni costo da demonizzare. Scrittori, Falco e Vasta, inclusi nell’ampia antologia che Andrea Cortellessa dedica agli esordienti del nuovo millennio (La terra della prosa, L’orma, 2014), e che offre a Cordelli il destro per sollevare la testa dal sepolcro e tornare a interrogarsi sullo stato di salute della letteratura italiana degli ultimi quindici anni, vista come nulla più che una “palude”; entro la quale bello e brutto sarebbero sostenuti e appiattiti sul medesimo indistinto orizzonte, senza possibilità di intravedere «linee di tendenza» e soprattutto «opere di qualità».

E guardando dentro la “palude”, Cordelli ne restituisce una rappresentazione attraverso settanta nomi, suddivisi secondo uno schema «parlamentare» che li raduna all’uopo in composite tribù: così si va, per esempio, dalla casta di sinistra dei “novisti” (Pecoraro, Siti, Belpoliti, Pincio, Falco, Mazzoni, Cortellessa, Giglioli, Pugno, Vasta, Pedullà junior, Lagioia, Parrella), sempre in prima linea, ai “dissidenti” (Fofi, Severini, Cavazzoni, Colasanti, Pusterla, Ferracuti, Giacopini, Raimo), gli «irriducibili guardiani dell’hic et nunc»; dalla muscolarità ostentata dei “vitalisti” (Moresco, Benedetti, Scarpa, Nove, Scurati, Genna, Di Consoli), all’indifferentismo operoso che sarebbe appannaggio dei “conservatori” (La Capria, Berardinelli, Rasy, Cavalli, Ficara, La Porta, Onofri, Febbraro, Murgia, Marchesini); per non tacere di un quanto mai eterogeneo “gruppo misto” (Lolini, Permunian, Di Mauro, Albinati, Di Stefano, Raffaeli, Trevisan, Galaverni, Gallerani, Torino, Caterini) o del partito dei “moderati” (Montefoschi, Serra, Affinati, Doninelli, Magrelli, Manica, Veronesi, Trevi, Balestra, Piperno, Bajani, Giordano, Di Paolo), quelli a più «alta vocazione istituzionale». Sullo sfondo, a guardare con sobrio interesse e dissimulata noia, i “senatori” a vita dell’attuale repubblica italiana delle lettere (i vari Guglielmi, Celati, Magris, Vassalli, Ferroni).

Nulla qui si vuole aggiungere pro o contro l’antologia di auctores degli anni Zero curata da Cortellessa (peraltro non ancora compulsata), se non al più rammentare, di passaggio, come, per suo statuto naturale, il genere dell’antologia è quello che più si espone alle critiche (non a caso Contini l’additava come la più «presuntuosa e luciferina del mondo», tra le operazioni letterarie). Piuttosto, qualche considerazione vale la pena di farla circa lo stile o se si preferisce il metodo (?) con il quale Cordelli compie il suo gioco, che rimane comunque in certo senso rivelatorio. E vedremo perché.

Nell’ostentata velocità di ragionamento, preparandosi a prendere parte a un ballo in maschera dove è il solo en travesti, Cordelli parla di percezione di ciò che, al momento, sarebbe riconosciuto come «culturalmente significativo»; e potrebbe benissimo (è lui stesso a farcelo notare) non più corrispondere tra un mese o un anno, giacché si tratta d’una realtà mobile, variabile come il tempo atmosferico. Ciò che vorrebbe offrirci è, insomma, un’istantanea dei vizi e vezzi, dei tic di appartenenza (consapevole/inconsapevole, poco importa) a ciascuna tribù. Forse la suggerita fluidità, l’essere in costante divenire della situazione, avrebbe dovuto indurre il nostro a optare, giocando comodamente in poltrona, per una metafora più calzante che non quella, a buon mercato, ricalcata sullo scenario parlamentare. Chessò, avrebbe potuto declinare il suo giocattolo tassonomico usando un canovaccio descrittivo riferito al tempo che fa, alle diverse latitudini intellettuali. Avrebbe potuto vedere dissidenti e vitalisti dividersi, in maniera polare e intercambiabile, tra Artide e Antartide, tra orsi e pinguini; per il nutrito gruppo misto avrebbe potuto servire allo scopo, per quel mirare di alcuni di loro al sistema di vita che tutto spieghi, tutto tenga insieme, l’etichetta di continentali; mentre la moderazione dei più istituzionali avrebbe occupato, proseguendo nella metafora climatologica, la fascia più temperata. E a seguire l’esotismo-estetismo materiale dei novisti e il quieto vivere mediterraneo, tra brevi siccità estive e miti inverni, dei conservatori. Ancora, per i tuareg senatori a vita, non avremmo avuto difficoltà a parlare di habitat a clima desertico. Sorgerebbe a quel punto il problema, per amore di esaustività, di dove collocare lo stesso Cordelli, potendosi trovar bene, indifferentemente, tanto nell’arido che nel frigido.

Cosa voglio dire? La polaroid di Franco Cordelli appena scattata è già bella che sbiadita, per il fatto che porre in questi termini il problema equivale a eluderlo del tutto. Se anziché limitarsi a «semplificare, ridurre, stravolgere» un critico di consumata esperienza e di ampissime letture come lui, si fosse sforzato di vincere l’inedia mettendo qualche altra energetica moneta nel suo cannocchiale (chi di metafora ferisce, di metafora perisce) sarebbe stato capace, forse, di produrre qualche argomentazione di maggiore consistenza. Tutto si può dire del romanzo italiano contemporaneo, tranne, per esempio, che non siano individuabili precise linee di tendenza (da valutare come, è altra storia); o, peggio ancora, che non si scrivano più opere di qualità con le quali il critico-lettore possa ingaggiare un proficuo corpo a corpo, per mezzo di «argomenti critici riconoscibili e validi» (quelli che sono carenti al Cordelli di questo articolo scritto, sembrerebbe, quasi controvoglia). Invece che fa? Partendo dal generico concetto di «percezione» si attacca all’obsoleta resistente incrostazione di buttarla in politica, con la risibile trovata dello scenario parlamentare. Eppure dalla «percezione» al senso comune il passo sarebbe stato davvero breve, lo sforzo non immane. Con disinvolta lucidità, a riportare la faccenda sul terreno della biologia, del necessario sporcarsi le mani con la vita, del navigare a vista, ci ha pensato oggi Paolo Sortino, quasi incredulo nel dover ribadire l’ovvio. Parte benino e finisce malissimo invece l’arrabbiata replica di Gilda Policastro, la quale nel contestarlo a Cordelli si macchia del medesimo peccato, ne fa una questione tribale (paradossalmente così dandogli ragione); e, nel difendere i due TQ (Falco e Vasta), replica a sua volta il gioco della torre, buttando giù Scurati e Ficara. Comportamento analogo quindi, ma solo di segno opposto: al tedio da postumo in vita del critico, fa eco la muscolare sovraeccitazione della Policastro (del resto si sa, gli opposti si attraggono).

L’esangue articolo incriminato riesce a suo modo istruttivo e sintomatico (simile a uno spasmo involontario), per almeno un nient’affatto trascurabile motivo: Cordelli nel disegnare l’offuscata geografia dell’italica palude della letteratura italiana contemporanea, finisce per cartografare (in negativo) il deserto della sua desolazione. Ecco perché suona come tombale dichiarazione di “inesistenza” in vita. Queste le controindicazioni di vivere già adesso da postumi?

Facebooktwitterlinkedin