Danilo Maestosi
La mostra al Palaexpo

Pasolini senza Roma

Convince solo a metà l'esposizione dedicata al rapporto tra il grande artista e la capitale. L'intellettuale è ben descritto, ma mancano le borgate e la metropoli in trasformazione che lui per primo riuscì a raccontare

Un saggio a più mani, ben scritto, ma una mostra riuscita solo a metà quella che il Palaexpo porta in scena e terrà in cartellone fino al 20 giugno, dopo le tappe a Barcellona e Parigi, rimettendosi in moto a fatica con un nuovo presidente, Franco Bernabè, un budget e un futuro ancora incerti. Nel titolo, Pasolini Roma, una promessa mantenuta, quella su Pasolini: i venticinque anni del suo soggiorno nella capitale e della sua straordinaria carriera di proteiforme intellettuale, sono ricostruiti come un romanzo corale, sfaccettato e avvincente. E un’altra mancata. La città in cui la sua tormentata biografia dovrebbe specchiarsi è una cornice nebbiosa e incompleta. Troppo sommaria per proiettarci nel passato o restituirci il senso del tempo perduto.

Non bastano le piccole cartoline d’epoca incollate sulle mappe che registrano i suoi traslochi e i baricentri delle sue abitudini; le altre foto alle pareti si lasciano sfogliare come album di famiglia e non come diari di una città, alla cui mutazione Pasolini assiste disperato e impotente; gli spezzoni dei suoi film, specie i primi girati in periferia, troppo brevi e insufficienti rimandano ad una maratona di proiezioni gratuite che è comunque evento collaterale. Povero di guizzi l’allestimento. Non basta la copia di una statua della fontana delle tartarughe al centro della prima sala ad evocare lo stupore con cui Pasolini, appena arrivato e ospite di una casa al Ghetto, contempla il cuore antico della capitale, misura lo scarto tra la bellezza intoccabile di quei fanciulli e l’avvenenza ammiccante dei ragazzi di periferia che vede scendere dal tram o fare il bagno nel Tevere. Il modellino di 1100, l’auto con cui viaggiava negli anni sessanta, esposto a fari accesi nella quarta sala è solo un cimelio alla com’eravamo: una data che non si trascina appresso altre informazioni, emozioni, riflessioni, sapori.

pasolini roma1Dov’è insomma quella Roma, nascosta in borgate e borghetti, di solidarietà, ingenua furbizia, miseria che lo affascinò al punto di costruirci su la filosofia di redenzione e rivolta del proprio Vangelo? Dove sono i fantasmi metropolitani di quella società borghese corrotta dalla corsa ai consumi che furono il mulino a vento della sua rabbia corsara?

Chissà, forse è colpa della voragine che si è aperta in cabina di regia con la malattia e la morte in corso d’opera di Gianni Borgna, uno dei curatori. Forse il taglio da esportazione con cui questa mostra è stata coprodotta. Forse più semplicemente un vuoto condiviso, di rispetto, rimpianto e distacco, imposto dal contagioso senso di sconfitta che accompagna la sfida intellettuale di Pasolini e precipita nel mistero irrisolto del suo assassinio. Dubbi con cui in fondo la stessa mostra ci congeda, chiudendo il percorso con uno spezzone postumo di Caro Diario di Moretti che in sella ad un vespone ci guida fino al pratone dell’Idroscalo, a quel cimitero di rifiuti, dove nel 1975 la sua vita si è bruciata. L’anno successivo Roma fu conquistata dalle sinistre. Poco dopo Petroselli iniziò il risanamento di borgate e borghetti. Il proletariato romano delle periferie cambiò ruolo, ma anche convenienze e bandiere. Pasolini aveva predetto questo voltafaccia: l’ultimo paradiso traslocava per lui nelle favelas del Terzo mondo.

pasolini idroscaloManca Roma, ma Pasolini, in compenso, c’è tutto. L’artista, il poeta, il polemista, l’uomo, dilaniato in ogni veste, sotto ogni maschera, da certezze e da dubbi. Con le sue tante contraddittorie facce. Messe a nudo da uno straordinario campionario di documenti, testimonianze, dirette e indirette, che è cronaca, storia, e appello a conservarne e tramandarne memoria. Un profeta eretico votato alla testimonianza, al massacro, all’autodistruzione: come un cimitero, un memoriale di guerra, la parete su cui campeggiano i ritagli stampa dei 33 processi che Pasolini ha dovuto subire. Trentatré volte fu assolto, ogni assoluzione un pezzo in più di libertà e dignità che ci ha regalato. E un padre, un compagno di strada che ci commuove con la sua fragilità: tra i tanti autografi il più toccante è una lettera a Paolo Volponi in cui confessa il suo dolore per la fine dell’amore con Ninetto Davoli.

Per informazioni: http://www.palazzoesposizioni.it/categorie/mostra-pasolini-roma

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