Luca Fortis
Cartolina dal deserto

Il senso del ritmo

Roma, Il Cairo, l'Iran: frammenti di musica, di notti e di ritmo raccontano il rapporto immutabile tra il corpo e lo spirito. Sempre mediato dai suoni

Le antiche cupole in fango donano alla stanza un sapore antico. Attorno a noi solo il silenzio della notte nella piccola oasi nel deserto persiano. Dalla finestra si vedono i fiocchi di neve che quasi danzano nel vento prima di toccare per terra. Le foglie dei palmeti ballano anche esse.  Mentre fumo una cannetta, il mio amico prepara i vasi di terracotta. Di colpo un ritmo antico regala una musica alla danza della neve e delle palme. Naghi ha cominciato ha suonare i vasi: all’inizio è un vibrare quasi tribale, ma con il passare del tempo la ceramica sprigiona un ritmo quasi elettronico.

Semplici otri turchesi, grazie alle sapienti mani del mio amico, creano un atmosfera quasi da Buddha bar. Mangio datteri e mi immergo in profonde meditazioni. Il tempo sembra essersi fermato per immergersi in un luogo eterno dove le lancette non scorrono più. Passato e presente si fondono in un ritmo perfetto in cui vivono insieme antichi contadini e ragazzi d’oggi. Viene quasi da pensare che non ci siamo inventati niente. La neve fuori dalla finestra viene trasportata dal vento ora sulle case in fango, ora sulle palme. In lontananza le montagne sono scomparse tra le nuvole e l’oscurità della notte.

Sono ormai le cinque di mattina e i locali del centro di Roma cominciano a tirare giù le serrande. I miei amici si lamentano della provincialità della capitale romana e parlano di come Berlino o Parigi abbiano fatto della vita notturna un’economia. Interrompo il loro discorso proponendo di andare al Frutta e Verdura, storico after lgbt romano. Decidiamo di andare, ma una volta arrivati i miei compagni di nottate cambiano idea e decidono di andare a dormire. Io resto ed entro nella piccola stanza, il locale è come sempre pieno. Il ritmo della musica elettronica comincia a entrare nella mia testa. Vado al bar e ordino un long island, mentre bevo lentamente mi guardo attorno: trans estremamente appariscenti e dai vestiti estrosi balano accanto a ragazzi in gran parte a petto nudo o in canottiera. Molti di loro hanno la barba e fisici villosi piuttosto muscolosi. Riconosco alcuni dei volti accanto a me. Il locale è frequentato da una popolazione piuttosto eterogenea, ci trovi giornalisti, avvocati, studenti, professionisti del sesso che hanno appena finito di lavorare, gente del centro come della periferia. La sua bellezza è proprio questa: si tratta di un mondo libero in cui a nessuno frega niente di quel che fai di giorno, importa solo la voglia di far nottata insieme. Il ritmo della musica elettronica si fa più intenso, verso le otto di mattina il locale comincia a essere stracolmo. Alcuni passeggiano nella dark Room, altri ballano sudati. Io ordino un altro long island e continuo a ballare. Verso le dieci di mattina decido di tornare a casa.

Le stelle illuminano il cielo di Siwa, stupenda oasi egiziana al confine libico. Uno dei pochi posti al mondo in cui fino agli Anni Trenta si celebravano matrimoni tra maschi. I giovani guerrieri del villaggio per secoli hanno potuto amare e sposare persone del proprio sesso. Oggi tutto questo è scomparso sotto l’oscurantismo dell’islam del Novecento.

Sono nella mia stanza che leggo, quando tutto d’un tratto ecco un ritmo di tamburi, flauti e canti che proviene da qualche casa vicina. Decido di andare a vedere di cosa si tratta. Cammino tra le palme e trovo il giardino da cui proviene la musica. È una piccola festa di egiziani in un locale. Mi fanno entrare, ordino un tè e una shisha. Il ritmo ha un che di ipnotico, alcuni ragazzi locali che indossano, come tutti nell’oasi, la Jellabiya e il tradizionale turbante, ballano uno di fronte all’altro. Hanno un volto fiero e sensuale allo stesso tempo. La danza a tratti sembra un combattimento e a tratti un corteggiamento. I loro corpi si muovono e si perdono in un ritmo che è lo stesso dalla notte dei tempi. Ballavano così all’ombra del fuoco millenni fa, e lo fanno ancora oggi. Ricorda molto le tammorre tipiche del Sud Italia e, come spesso mi è capitato di pensare in Campania o in altre regioni del nostro meridione, queste danze antiche nascondono un’intrinseca modernità.

Il passato e il presente ballano insieme. Un tempo si cercava se stessi e talvolta si perdevano i sensi danzando e drogandosi, oggi il mondo non è poi così mutato.

Il fumo del narghilè balla anche esso verso il cielo stellato. Il suono ipnotico della musica mi proietta nei miei pensieri: il mistero della notte, del ritmo, della danza, è qualcosa di ancestrale che, pur sfuggendoci nel suo significato più profondo, ci avvicina a parti di noi stessi che spesso dimentichiamo. La notte si fa tarda, la luna brilla, la mia mente corre lontano.

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