Pier Mario Fasanotti
Nel centenario della nascita

I fatti di Marguerite

È un'immersione biografica a forma di romanzo il nuovo libro di Sandra Petrignani sulla Duras, frutto di un lavoro di anni di severa documentazione. Una lettura appassionante di cui si parla oggi a Roma alla Casa delle Letterature

Una vita tormentata. Senza alcun dubbio. Ma l’aggettivo è troppo generico e abusato per Marguerite Duras che oggi, 4 aprile, avrebbe compiuto cent’anni. A scavare nell’esistenza di una donna minuscola, dal viso orientaleggiante e dal carattere «triste e sfrontato» ci ha pensato la scrittrice Sandra Petrignani che presenta oggi pomeriggio alle 18,30 alla Casa delle Letterature di Roma (piazza dell’Orologio 3) la sua preziosissima immersione biografica a forma di romanzo, Marguerite (edito da Neri Pozza, 212 pagine, 16 euro), dopo anni e anni di severa documentazione. Ne è uscita un’opera indubbiamente di fantasia ma sempre in aderenza con i fatti e i personaggi dell’esile figura nata a Saigon e morta (nel marzo 1996) a Parigi: un modo lessicalmente elegantissimo e sostanzialmente originale per comprendere e far comprendere la complessità di una narratrice che, non a caso, in uno dei suoi romanzi (I cavallini di Tarquinia) faceva dire a due sue creature di carta: «Penso che sia sempre molto difficile non farsi i fatti degli altri». «Quanto ti sbagli!» disse Jacques. «Io trovo che bisogna sempre farsi i fatti degli altri».

Un’involontaria investitura per Petrignani, che è entrata con spericolata diligenza nelle pieghe d’una donna dai due continenti (Asia ed Europa), dai vari nomi (Marguerite Marie Donnadieu, quello anagraficamente esatto, Nenè, quello infantile e familiare, Margot, quello dell’impegno e del tumulto parigino, e poi semplicemente Duras, nome della terra degli avi francesi, scelto da lei stessa da adolescente per distanziarsi dall’oppressiva ombra della madre Marie, verso la quale nutrì la più variegata gamma di sfumature e tutte contraddittorie e dolorose, dall’amore assoluto all’odio o indifferenza, dal rancore al ricordo struggente e contorto. Alti e bassi nella sua vita: numerosissimi e mai a volume quieto. Parole lanciate come proiettili, contro gli altri ma anche, e spesso, contro se stessa. «La mia unica certezza è il rifiuto»; «Tu sai il piacere che provo a farmi del male»; «A un certo punto la vita diventa un cimitero»; «Grido. Amerò chiunque ascolterà questo grido». E Petrignani, a proposito dei suoi lamenti profondi e feroci, annota che «i suoi dialoghi con la morte erano contenuti nei libri». Li infilava lì dopo averli quasi violentati con la sua mente totalizzante ed estrema, sfidando poi il lettore sul quale tendeva a dominare, non sempre con esiti felici.

Sfrontata, si diceva. Con gli uomini soprattutto (pare avesse avuto 300 amanti), convinta, in base a una psicologia formata da spirali difficili da dispiegare interamente, che si dovesse sedurli per poterli dominare. Segnale anche di una strenua e disperata difesa di se stessa. Si credeva insignificante se non brutta. Non è vero, se non altro perché il suo viso, delicato come porcellana, è agli antipodi della banalità. Ma è comunque vero quel che si crede di se stessi. Era alta circa un metro e 50, capelli tendenzialmente rossi ma che viravano al color paglia, occhi distanziati, bocca che pareva appena accennata da un disegnatore timido, perfetta comunque, via via accentuata dal rosso fuoco del maquillage. La Duras, bambina selvaggia in Vietnam e Cambogia e quasi camuffata da indigena povera, s’accorse poi d’essere guardata nelle strade indocinesi soprattutto dopo il temporaneo tuffo in Francia. E allora vibrava dentro, la sua sensualità si gonfiava per poi scoppiare con impeti animaleschi, al limite di un osceno attraversato, diremmo morsicato, con passione.

copertina MargueriteLa Petrignani inizia il suo romanzo biografico nell’agosto del 1956, quando Nenè, accompagnata dal suo infuocato amante Gerard, s’avvia verso il “castello” dove è morente la madre, da sempre divorata dall’ambizione di «diventare miliardaria» ma «incapace di stringere amicizie che contano»: si trovava bene, con i capelli bianchi scarmigliati e il fisico ingrossato, «con gli indigeni di qualsiasi condizione». Raccoglieva mendicanti, lei insegnante e poi accanita e disordinata proprietaria di risaie. Marguerite va con la mente all’indietro. Sa bene di soffrire per una prossima mancanza, annunciatale dal debole e vanesio fratello Pierre (il preferito in famiglia), eppure ricorda i tanti rifiuti verso una bambina che si aggrappava alle gambe materne e veniva bruscamente respinta. Ricorda di una volta che madame Donnadieu la scostò tirandole la treccia, insofferente verso gli impeti, magari fortemente imbarazzanti, d’una bambina che cominciava a cercare l’assoluto nella vita.

Inevitabili i flash panoramici della sua infanzia: il Mekong, il lago di Hanoi, le cime al confine con la Cina, garanzia di frescura. Frasi sparse, raccolte con amore grande da Gerard, scrittore e giornalista. «Sono cresciuta nell’acqua. Mi piace l’acqua. Ma non so nuotare. Ho paura dell’acqua. Sogno di essere uccisa nell’acqua». Pause sull’erba o nei motel, assalti di eros sfrenato. Infine la notizia della morte della madre. Lei si chiede: forse è trapassata nel momento esatto in cui venivo penetrata da un uomo. Difficile comunque seppellire il risentimento. È più facile sotterrare un corpo o cremarlo? La madre Marie lodava la versalità straordinaria della figlia (che si laureò poi in Giurisprudenza ed era così abile con la matematica), ma l’aveva sempre derisa come scrittrice, rimproverandole di buttare in piazza episodi familiari, pur letterariamente camuffati. Non vali niente, le diceva crudelmente. Ma a Marguerite importava solo scrivere. Dirà ad Antelme, altro suo grande amore: «Nella vita viene un momento in cui si mette tutto in dubbio. Bisogna essere più forti di quel che si scrive. Perché scrivere è sempre una porta aperta verso l’abbandono, è gridare senza far rumore. Sono disposta a pagare qualsiasi prezzo per aver osato uscire e gridare». Durante quel funereo e squassante viaggio verso il “castello”, Marguerite ha 42 anni. Si aggrappa alla vita, ma anche all’alcol. Sempre sulla scrittura, la Duras, riferendosi a un suo amante, diceva: «Scriveva per essere ammirato, scriveva perché si pensasse di lui che era geniale. Se non spiazza prima di tutto chi scrive, se non è una rivoluzione permanente, la scrittura non è nulla».

La rivoluzione, già. Nenè-Margot attraversa e condivide il movimento del ’69, ne condivide gli afflati idealistici e libertari, ma comprende che la percezione dell’«unica rivoluzione senza armi» è diversa. Perché lei non ha più vent’anni. Si dichiara intimamente e profondamente comunista perché è, ed è sempre stata, dalla parte degli umiliati, dei servi, dei poveri. Non le importa la finalità economico-programmatica del Pc, l’avidità brutta di Stalin che vorrebbe cucire le bocche di chi parla e scrive. Tuttavia ha momenti di ribellismo contro l’apparato e verrà espulsa dal partito. Un partito ottuso, che spara alle gambe per il non coraggio del duello vis-à-vis, della dialettica interna. E allora Edith Piaf viene allontanata perché “puttana”, e lei, Nenè-Margot perché “ninfomane”. Marguerite presenta domanda per la re-iscrizione. Rifiutata. Intanto libri su libri, accostamento al mondo cinematografico, a quello psicoanalitico (è amica di Lacan: al quale pone domande sull’essenza e sui confini della realtà), a quello degli intellettuali, tanti e importanti.

La sua irruenza e la sua caparbietà nel porsi domande sui temi fondamentali dell’esistenza l’accompagnerà fino alla morte: «Ho paura»; «Non so dove sto andando»; «Non c’è nessun ultimo bacio», «Scrivere tutta la vita ti insegna a scrivere. Non ti salva da niente»; «Me ne vado con le alghe»; «Non c’è più Duras». A rendere omaggio alla scrittrice dalla «esotica infanzia indocinese» (come annota la Petrignani) s’impegna la casa editrice Del Vecchio, vivacizzata in questo ultimo periodo da un ufficio stampa di eccezione (Fiammetta Biancatelli) che pone all’attenzione dei cosiddetti lettori forti opere che nulla hanno a che vedere con il flirt da marketing, semmai con le costellazioni che ruotano intorno al premio Nobel: nutrimento per palati fini, eccezionali riscoperte. La Del Vecchio ricorda Marguerite Duras con due uscite inedite presentate a Roma: La minaccia della luce, libro-intervista alla scrittrice (anche in formato e-book) e La ragazza del cinema che unisce le due sceneggiature Agatha e Il Camion – in libreria dal 16 aprile (introduzione di Sandra Petrignani). Per ricordarci che la Duras, autrice di una sessantina di libri, e della sceneggiatura dell’indimenticabile Hiroshima mon amour, ha curato anche la regia di diciannove film.

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