Anna Camaiti Hostert
Lettera dall'America

Lezione sul razzismo

Il presidente Obama ha messo in scena con l'anchor man Zach Galifianakis un "siparietto" sulle discriminazioni negli Usa. E la destra, come al solito, colta sul vivo ha risposto insultandolo

Che il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti con la sua elezione abbia scoperchiato il vaso di Pandora di un razzismo sepolto sotto strati di storia non ancora digerita non è una novità. Abbiamo ripetuto più volte che questo fenomeno continua ad esistere e non sembra attenuarsi neanche in un periodo come il nostro post-diritti civili e anche post-politically correctness. Cose ambedue che per motivi assai diversi dovrebbero avere determinato una scomparsa di atti, comportamenti e linguaggi discriminatori. Purtroppo non è così e questo brucia perché sta lì a ricordarci che nella lotta contro il razzismo non solo non c’è stata una vittoria definitiva, ma non ci sono neanche essere momenti in cui è possibile abbassare la guardia. Una volta compiuti i primi passi sanciti da un diverso stato giuridico c’è ancora da lavorare infatti sugli oscuri e profondi meandri di un immaginario collettivo influenzato da una cultura che ancora deve compiere molti passi in avanti prima di dichiarare sconfitto il fantasma del razzismo. E anche se le forme sono diverse e più sottili, la sostanza non cambia.

Appare dunque un imperativo categorico si cominci fin dall’infanzia a insegnare, in maniera più seria e documentata di quanto si faccia adesso, anche usando nuovi media visuali, cosa sono state la schiavitù, la segregazione e poi infine la lotta per i diritti civili. Perché questo è il grande nodo della cultura americana. Cade dunque a proposito la proposta che si studi nelle scuole il film di Steve McQueen tratto da una storia vera, che in America ha quest’anno vinto l’Oscar, 12 anni schiavo, per ricordare ai giovani americani e a quelli meno giovani, che forse se lo sono scordato o l’hanno rimosso, da dove vengono e quale sia stata la condizione dei neri in un passato neanche tanto lontano. Una condizione che, se si va a vedere i pregiudizi che ancor oggi persistono, trova le sue radici proprio in una violenza estrema determinata precisamente dalla considerazione che  i neri non erano considerati esseri umani, ma semplicemente oggetti di proprietà posseduti di cui disporre a piacimento. Un atteggiamento difficile da sconfiggere che alimenta pregiudizi che ancora oggi si possono osservare nei confronti degli afroamericani.

Prossima fermata Fruitvale StationE per rimanere nel campo cinematografico, basta pensare ad un film appena uscito in Italia che in America è passato soprattutto nei circuiti indipendenti o in quei cinema che fanno una politica più colta e raffinata: Prossima fermata: Fruitvale Station (nella foto). Anch’esso tratto da una storia vera, premiato al Sundance Film Festival e a quello di Cannes, questo piccolo film racconta la storia di un giovane nero poco più che ventenne, Oscar Grant, interpretato da un bravissimo Michael B. Jordan (niente a che vedere con l’omonimo e più famoso giocatore di baseball) che nel 2009 è stato ucciso dalla polizia di Oakland in California. Si svolge durante l’ultima giornata di quell’anno che è anche l’ultima della sua giovane vita. E mentre si appresta a celebrare il compleanno di sua madre e a festeggiare il capodanno come fanno tutti i giovani della sua età, impariamo che dopo avere perso il lavoro sta tentando di continuare a rimanere sulla retta via dopo una condanna minore per spaccio. E che lo vuole fare per la sua compagna e soprattutto per la piccola figlia Tatiana di quattro anni.

Vediamo subito che Oscar è un bravo ragazzo, che vuole farcela a tutti i costi, cosa che per un giovane nero generalmente segregato in uno dei tanti ghetti che esistono nelle grandi città e a cui San Francisco non fa eccezione, non è facile. Così per una stupida rissa in metropolitana dovuta all’incontro con un ex carcerato conosciuto in prigione, interviene la polizia che con modi violenti e chiaramente animati da pregiudizi razziali prima lo picchia assieme ad altri amici neri e poi lo uccide con un proiettile alla schiena. Cioè si ruba la sua vita assolutamente per niente. Ebbene di episodi di gravi pregiudizi razziali, anche se molti non finiscono in tragedia, se ne registrano a bizzeffe ovunque.

obama funnyordieE forse è per questo che trovando un metodo diverso e più consono ad un’epoca post- politcally correct, un presidente nero come Obama, alcuni giorni fa, si è costruito un’apparizione ad un programma di intrattenimento discusso come Between Two Ferns di Zach Galifianakis. In esso il presidente si finge oggetto di una serie di irriverenti pregiudizi razziali da parte del conduttore solo per invitare i giovani a iscriversi ai registri della riforma sanitaria. Il fine giustifica i mezzi. Mandando così un messaggio, da parte di alcuni giudicato opinabile, che spera tuttavia di sconfiggere i pregiudizi razziali attraverso l’umorismo, l’ironia ed un uso spregiudicato dei media tecnologici. Cosa quest’ultima che già aveva caratterizzato la sua campagna elettorale contro Romney alle ultime elezioni.

In questo caso è un messaggio per ribattere contro il fuoco di fila dei repubblicani che con spot pubblicitari farciti di immagini da guerra fredda allarmano i cittadini  rispetto ad un’ingerenza governativa e pubblica nella loro vita privata e di cui l’Affordable Care Act (la famosa riforma sanitaria di Obama) sarebbe lo zenit. Scoraggiando così la partecipazione e l’iscrizione alle liste governative ormai aperte da mesi dopo un inizio difficile e complicato che ne aveva rallentato l’iter. Lo spot più grottesco dei repubblicani, come sottolinea il Los Angeles Times, raffigura una minacciosa immagine di Uncle Sam che fuoriesce dalle gambe aperte di una donna durante una visita ginecologica. La rozzezza di questa immagine tuttavia non fa che dimostrare la superiorità mediatica dei manager dello staff Obama. I quali, come già avevano mostrato nell’ultima campagna elettorale, sanno sempre come trovare, a differenza dei rivali repubblicani, il podio giusto per raggiungere il target richiesto.

Ma il problema non risiede nel giudizio moralistico sull’opportunità di una scelta forse non del tutto condivisibile o viceversa nel fatto che esiste una guerra ideologica ormai aperta che non risparmia colpi per nessuno, ma che questa guerra ha fondamentalmente alla sua base pregiudizi di carattere razziale. Infatti dopo questa apparizione sul cui buon gusto si può discutere, ma sulla cui efficacia non si può dubitare, i media conservatori  si sono risentiti. Così Bill O’Reilly che proprio su Fox News aveva fatto a febbraio un ‘intervista al presidente Obama quella sì davvero irriverente, con continue interruzioni, invadenze e animata da una profonda mancanza di rispetto dell’autorità presidenziale con un comportamento che, va osservato, il popolare giornalista non avrebbe mai tenuto nei confronti di un qualsiasi altro presidente bianco, ha posto serie obiezioni all’intervista con Galifianakis. «È stata una mossa strategicamente sbagliata» ha affermato. Viene fatto di chiedersi il perché di quest’affermazione. Infatti, dato che il giovane conduttore usa termini irriverenti nei confronti del presidente e del colore della sua pelle e lo accusa perfino di non essere americano come molti media conservatori a partire da Fox hanno sempre implicato, non si capisce perché O’Reilly  trovi questa pseudo intervista poco consona all’autorità presidenziale. Essa infatti coglie in pieno e riproduce lo spirito codino di media come Fox che in questi anni non hanno risparmiato alcuno strale nei confronti del presidente

Questa intervista, secondo il giornalista di Fox, però, ha esposto il presidente a critiche di rilevanza internazionale. Ultimamente infatti Putin tiene Obama sotto osservazione e in questo caso potrebbe dedurre che il presidente è un “peso leggero”, un uomo senza spessore che si può facilmente raggirare. Cosa questa che durante una grave crisi internazionale come quella ucraina, secondo il giornalista, è gravissima. Senza tenere in minima considerazione che invece la sua continua, reiterata e per niente ironica mancanza di rispetto nei confronti del presidente in tutti questi anni è forse proprio quella che autorizza Putin e gli altri leader internazionali a pensare che l’America è un paese diviso e debole che non rispetta il proprio presidente e l’autorità che rappresenta. Quindi diventa inconcepibile l’autoironia del presidente. Ma forse a questi personaggi sfugge la portata eversiva della risata brechtiana e con essa la possibilità di superare le barriere ideologiche. Il fatto più grave è che continuano scambiare la pagliuzza nell’occhio dell’altro con la trave che hanno nel proprio.

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