Alessandro Boschi
Visioni contromano

Il cinema a vuoto

«Noi 4» di Francesco Bruni è un film che vorrebbe affrontare la quotidianità di una famiglia difficile oggi, a Roma. Ma finisce per rimanere in superficie: la realtà è dura da scavare

Il problema di molti sceneggiatori, anche bravi, è che a un certo punto della loro carriera si convincono di poter fare a meno del regista. Ecchesaramai! Vittorio Cecchi Gori, Vittorio, non Mario, diceva che dirigere un film era molto semplice: usando le mani a mo’ di obiettivo gridava: piano largo, primo piano, tutto qua. In realtà non è esattamente così. Oddio, di registi sceneggiatori ce ne sono a iosa, ma di bravi molti di meno. A ben vedere, Francesco Bruni, di nuovo in sala con Noi 4, suo secondo film da regista, non dimostra di avere particolari problemi tecnici. Da quel punto di vista se la cava discretamente anche se dirige in maniera piuttosto scolastica. I problemi vengono fuori nel momento in cui si passa alla descrizione dei personaggi e alla loro messa in scena. Il che potrebbe anche sembrare un paradosso.

In verità Bruni scrive sempre in maniera precisa. Fin troppo, viene da dire. Perché i suoi non sono personaggi, ma archetipi, stereotipi, che avrebbero bisogno di maggiori sfumature che la mano del regista, cioè egli stesso, non ha saputo conferire loro. Attenzione, non parliamo di recitazione (che pure, anche se Fabrizio Gifuni vince per distacco con Ksenia Rappoport), parliamo bensì di verosimiglianza, che spesso passa per l’imprecisione, di naturalezza. Che sono poi quelle cose che fanno la differenza. Alcuni tratti dei protagonisti ci sono sembrati poco smussati, scolpiti con l’accetta.

Un padre superficiale senza lavoro che gira in moto con il casco slacciato, la figlia un poco zecca che però lo adora mentre detesta la madre lavoratrice e seria anche se con qualche problema di autostima (a proposito, il chirurgo estetico al quale si rivolge per rifarsi il seno è la copia carbone di  Robbie Rotten di Lazy Town). E poi il figlio di tredici anni, sensibile, innamorato di una cinesina i cui genitori cinesi lavoratori detestano gli italiani proprio perché lavorano poco. Anche i momenti apparentemente di contorno del film non convincono, come la corsa in cyclette della madre che fa di lei una corritrice a vuoto. Oppure il rifiuto del padre, artista, pare, a lavorare in tv.

Aiutano ad afferrare il senso del film le prime scene. Roma si sta risvegliando con il solito trambusto, scandito dal ritmo forsennato dei rumori quotidiani. La nostra famiglia invece è ancora sonnacchiosa, cullata dal suono delicato di una melodia. Non come i cinesi che si alzano prestissimo per lavorare. La giornata sarà però decisiva, catartica. C’è un esame di terza media da affrontare, un amante che non si ama da lasciare, un teatro occupato da pulire (sigh! Anche il teatro!), due tette da risollevare, una separazione che mostra qualche crepa da verificare. Perché non sono solo i matrimoni a dover essere gestiti. In presenza di figli lo diventano ancora di più le separazioni. La giornata rappresenta una complicata gita fuori porta della famiglia, che una gita fuori porta, questa volta divertente, l’affronterà davvero. Riunita, felice. Troppo felice per essere vera.

Alla fine cosa resta? Bruni fa tornare tutto, “chiude” in maniera troppo chirurgica le storie. Tutto torna, poco resta. Ognuno trova, o ritrova, ciò che manca. Alla fine lo spettatore può tornare sereno a casa. Con il cuore leggero, quasi vuoto.

Facebooktwitterlinkedin