Lidia Lombardi
Cartolina dalla Colombia

Favole a Cartagena

Ogni anno, nella città colombiana in questo periodo di svolge un festival musicale che coinvolge tutto il paese: una festa popolare dalla quale ci sarebbe molto da imparare

L’America Latina – terra di contraddizioni nell’altalena barocca di splendore e miseria, di violenza e misticismo, di santità e depravazione, di fede e ateismo – ha un vessillo valoriale da sventolare: l’attenzione per la musica, intesa come apice di cultura ma anche come mezzo di elevazione nel caso di degradate realtà, e come chiave efficace per aprire la mente e il futuro dei ragazzi.

Musica come medicina intellettuale e sentimentale, allora. Il pensiero va immediatamente a quel capolavoro socio-didattico che è in Venezuela El Sistema Abreus, dal nome del geniale fondatore: nelle scuole pubbliche l’educazione musicale è capillare, con accesso gratuito a bambini di ogni ceto sociale e specialmente a quelli allevati nei barrios. Ne sono scaturiti 125 orchestre e cori giovanili e trenta ensemble sinfonici. Il Paese conta su 180 nuclei operativi spalmati su tutto il territorio e 350 mila sono gli studenti educati alla musica. Una realtà dalla quale è uscita l’Orchestra Giovanile Simon Bolivar, diretta nel 2007 da Gustavo Dudamel nella prestigiosa Carnegie Hall di New York. Lo stesso Dudamel è bacchetta internazionalmente apprezzata, come testimonia in Italia Claudio Abbado.

Ma non basta: da El Sistema è scaturito anche il Coro Manos Blancas, nato nel 1999 per l’impegno di due insegnanti del metodo Abreu che hanno iniziato e formato alla musica bambini con deficit cognitivi e sensoriali.

Dal Venezuela alla Colombia. Dove da otto anni, proprio in questo periodo dell’anno, spopola il Festival di Cartagena, la città caraibica fondata dagli spagnoli nel 1533, faro del periodo coloniale e oggi maggiore polo turistico non soltanto della Colombia. Ebbene, sugli sfondi caldi e dorati di Cartagena, il Festival Musicale nel 2012 ha calamitato 24 mila spettatori, con concerti in location affascinanti, come la seicentesca Piazza Getsemani, la moderna area portuale, la chiesa di Maria Auxiliadora. Organizzato e finanziato dalla Fondazione Salvi, presieduta dalla mecenate colombiana Julia Torres Salvi, la kermesse, che si è aperta il 4 gennaio e che durerà fino a domenica prossima, ha richiamato musicisti da tutto il mondo: il nostro Rinaldo Alessandrini, le virtuose Sorelle Labèque, il Quartetto d’Archi Borodin, il pianista Sergey Babaian.

La fiaba, il tema di Cartagena 2014: che svaria da Pierino e il lupo di Prokof’ev alla Suite di Ravel ispirata ai racconti di Ma Mére l’Oye a Petruska di Stravinskij. L’occhio è sempre attento alla formazione e agli ambiti meno patinati della realtà metropolitana: così molti concerti si tengono nella periferia di Cartagena e il programma comprende popolari masterclass. Il vettore rivolto ai giovani si conferma con la produzione creata appositamente per il Festival, La Cenerentola di Rossini, che debutta stasera e si replica domenica, diretta da Rinaldo Alessandrini e interpretata dagli italiani Roberto De Candia (Dandini), Daniela Pini (Angelina), Luciano De Pasquale (Don Magnifico). L’Orchestra è la Filarmonica Joven de Colombia, il coro quello dell’Opera di Bogotà. Un sipario che cala sui volti di motivati giovani, sostenuti da Stato e Fondazioni. Esempio per tante realtà italiane che annaspano nella avarizia di sostegno finanziario negato senza lungimiranza e soprattutto senza tenere conto del ritorno in termini di sviluppo sociale e culturale che si traduce in volano economico. Un esempio? L’Accademia degli Sfaccendati, che prosegue nel nome della blasonata istituzione seicentesca e che accende ogni settimana con i suoi concerti  Palazzo Chigi di Ariccia. A inizio stagione ha suonato il violino magistrale di Salvatore Accardo, che dalle sale della barocca dimora ha lanciato un appello proprio a sostegno di realtà musicali orgogliose della propria tradizione e attività, ancorché lasciate dalla mano pubblica al proprio destino a favore di altre con struttura bolsa e dunque eccessivamente onerosa.

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