Leonardo Tondo
A proposito di “Gli Sdraiati”

Il ruolo sbagliato

Il libro di Michele Serra apre interrogativi su un aspetto generalmente trascurato dalla psicologia, quello dello scambio tra padre e figlio. Che, diversamente dal passato, e forse risentendo del post-68, oggi si fonda su libertà garantite in cambio di una relazione amicale. Ma con quali effetti?

Premetto che non ho figli. A tratti, il desiderio è emerso e magari si è affacciato allo stato di coscienza, ma poche e indistinte associazioni mi hanno fatto giungere alla conclusione che un figlio era incompatibile con la vita, la mia. Lavorando come psichiatra spesso entro nelle stanze della sofferenza di alcuni giovani e provo a fare mia la disperazione dei genitori (anche quelli ineccepibili a un’attenta valutazione psicologica). Con soddisfazione penso di aver preso la giusta decisione senza cadere nella trappola della trasmissione dei miei geni (del tutto rispettabili). Non so se avrei sopportato vedere mio figlio in una condizione di dolore o smarrimento.

La conseguenza più diretta di tutto questo sarebbe stata quella di tenermi a distanza di sicurezza dal libro di Michele Serra, Gli Sdraiati, di cui avevo letto una o due recensioni e sapevo che trattava di un tema piuttosto trascurato dalla psicologia: lo scambio padre-figlio. Delle madri e dei loro figli si discute da sempre (altro che pari opportunità) per quell’egoismo materno di considerare un figlio una loro proprietà per averlo messo al mondo. Molte di loro, infatti, con sotterfugi facilmente smascherabili anche da un principiante psicologo riescono a tenerseli accanto finanche dopo una loro semi-indipendenza (le più abili riescono nel loro intento fino alla fine senza condividerlo). Tanto sincronico è che due mie amiche registe stanno affrontando il tema delle donne che per scelta, più che per necessità, non hanno voluto avere figli; intitolano il loro lavoro Lunadigás, dal nome delle pecore sarde che non si riproducono.

La tradizione cattolica bolla come egoisti donne e uomini in coppia che rinunciano alla riproduzione spesso per modestia. Così come fanno tutte le religioni che temono il diminuire delle schiere di fedeli spesso a favore di altre fedi più prolifiche (magari hanno ragione). Tramandare geni a vantaggio della sopravvivenza della specie e la derivante voglia di fare figli è gradualmente diventata meno automatica. Così come è diminuita la necessità di averli per lavorare i campi o per mandarli in guerra. Ci sarebbe la storia del sostegno delle pensioni dei vecchi ma ha una presa molto relativa. Uomini e donne senza figli si sentono ormai da decenni meno imbarazzati da questa condizione e operano delle scelte più ragionate sulla base delle loro possibilità emotive ed economiche.

Un tempo, specie nelle società più ristrette accadeva che una donna sterile venisse vista come inutile e che di un uomo si dubitasse delle sue capacità amatorie o sessuali tanto da spingerlo a seguire anche malvolentieri quanto la comunità si aspettava da lui (ricordarsi delle lenzuola macchiate di sangue – spesso provocato con un taglietto a un dito – esposte alle finestre in certi paesi). Adesso i riprodotti spesso invidiano gli sterili che possono utilizzare il loro reddito per soddisfare interessi, aumentare la propria conoscenza, viaggiare e permettersi il lusso più importante di tutti: disporre del proprio tempo come vogliono.

Gli ‘sdraiati’, nel lessico di Michele Serra sono quei figli orizzontali che passano il loro tempo impiegando molti dei loro sensi nello stesso momento e alcuni, vista e udito, in più di una attività. Meglio se spalmati su un divano. Guardano la tv, studiano chimica (i più responsabili), sono attaccati a un qualche i-strumento per ascoltare musica e con lo stesso mezzo o con altri nel frattempo si scambiano messaggi (la email è ormai da anziani) da 140 caratteri in giù con un numero variabile di cosiddetti amici da 1 a 20. Intanto mangiano e bevono. Sarà per questo che rimane loro poco tempo da passare con i genitori, che a tavola continuano nel multitasking e che rinunciano a qualsiasi dialogo con la generazione che li precede. E qui entra Serra, padre divorziato di un adolescente con cui non riesce a trovare il modo di parlare. Eppure, il ragazzo dovrebbe essere un privilegiato pensando a cotanto padre. L’osservazione del figlio allungato orizzontalmente lo porta a considerazioni neanche tanto originali sulla distanza tra vecchi e giovani mentre fantastica su una possibile guerra finale intergenerazionale dagli esiti incerti e che riecheggia alcuni scontri già letti (e visti) nel ciclo del Signore degli anelli.

Tra realtà e fantasia, si allarga però quella discussione tanto post-sessantotto sul ruolo parentale: intervenire con punizioni (s’intende, ovviamente, come sottrazione di privilegi) oppure rispettare la libertà giovanile. Dove si deve fermare quest’ultima? Quando intervenire? A queste domande non ci sono risposte e Serra, per timore o intelligenza, non fornisce la sua soluzione personale. Viene però spontaneo chiedersi perché questi genitori siano tanto diversi dai loro padri e madri. Se il comportamento di un padre attuale è spesso opposto a quello della generazione precedente, è probabile una forma di identificazione con il figlio di cui si ammira e invidia la libertà, la possibilità e capacità di scegliere, di essere padrone di se stesso, privilegi che in pochi si potevano permettere allora. Anche a scapito di una difficile auto-realizzazione che si sa implica molti sforzi e impegno. Magari Serra non evidenzia che la libertà dei nostri vent’anni era guadagnata, aveva un sapore diverso perché trasgressiva, veniva fuori da una opposizione alle autorità (soprattutto paterne). Quella degli adolescenti odierni è garantita fin dalla nascita e servita continuamente su piatti d’argento e come contropartita richiede una relazione amicale con il figlio.

Eppure tutte le generazioni precedenti hanno descritto rapporti genitori-figli stabiliti sull’ordine, obbedienza e rispetto delle regole che, sebbene connotate da un grande amore, escludevano relazioni paritarie. Poi le eccezioni, gonfiate dal massmedialismo, farebbero pensare che l’attuale fascia di cinquantenni sia tutt’altro che un gruppo di rispettosi e onesti cittadini, in realtà, queste qualità sono presenti nella stragrande maggioranza della popolazione. Invece di pensare a quanto leggiamo o vediamo in tv, dovremmo pensare ai nostri circoli di amici e parenti, dove difficilmente si incontrano frotte di scapestrati, nullafacenti, ladri o assassini. Eppure il padre Serra che non sembra esercitare forti pressioni genitoriali non riceve in cambio quello che desidererebbe e cioè un dialogo, una confidenza, una manifestazione di affetto da questo figlio perso nelle sue relazioni prevalentemente scambiate attraverso canali virtuali. Essere divorziato sarà o meno motivo di sensi di colpa che lo portano a permettere al figlio libertà eccessive?

Non c’è nel libro una vera indagine psicologica – fortunatamente – quanto piuttosto una serie di considerazioni aperte che svelano affetto, delusione, dubbi e si snocciolano con eleganza e arguzia (come previsto) fino a una conclusione in cui un solo gesto, una sola parola, ripaga il genitore della sua fatica. Se vogliamo il papà si accontenta di poco, ma tanto gli basta. Per chi vivrà e vedrà, sarà interessante l’osservazione dei comportamenti di questi figli sdraiati con la loro prole.

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