Ilaria Palomba
“Il piatto dell'angelo” pubblicato da Giunti

Romanzo migrante

Laura Pariani ha costruito un romanzo a strati: documenti d'epoca si mescolano a descrizioni di luoghi e storie inventate. Un'opera multipla che ci ricorda quando gli emigranti eravamo noi italiani

Il titolo – Il piatto dell’angelo, (Giunti 2013) – si riferisce a un’antica tradizione per cui, nei giorni di festa, si apparecchia la tavola anche per chi è lontano, nella speranza che possa tornare. Il piatto dell’angelo, diciannovesimo libro di Laura Pariani, è un romanzo singolare per come è strutturato, ovvero in un alternarsi di due sezioni. Una, intitolata Ieri è Oggi, costruita sulla scorta di testimonianze di migranti italiani che nei primi del Novecento partivano a cercar fortuna in America, testimonianze di migranti sud americani che negli ultimi anni partono per l’Italia in cerca di migliori condizioni di vita e, allo stesso modo dei nostri antenati italiani, si vedono costretti ad abbandonare le famiglie, creando incolmabili vuoti. L’altra sezione è la storia del romanzo narrata in terza persona, quella di Marina e Piero, giovane coppia in vacanza in Bolivia che, sotto la spinta di Marina, raggiunge il paese in cui vivono i parenti di Lita, badante della madre di Piero.

Alcune minuziose descrizioni di luoghi e tradizioni possiedono stile da reportage. Il viaggio inizia come una semplice escursione di qualche ora sul sito del lago Titicaca, a un paio d’ore da La Paz, e si trasforma in tutt’altro. I personaggi saranno portati a confrontarsi, in primo luogo, con una cultura diversa ma anche con un’altra faccia della medaglia: le conseguenze dell’abbandono. Dall’altra parte, nella sezione costruita come un insieme di testimonianze di migranti, c’è anche quella di Lita che dall’Italia, da casa della signora Colnaghi, pensa alla sua famiglia, alle figlie lasciate in Bolivia. E c’è quella distanza così profonda e lacerante da non permetterle di sapere poi nulla sulle loro reali condizioni.

Il piatto dell'angeloIntenerisce, tra le storie degli orfani della Merica, così come venivano chiamati i figli abbandonati in patria dai padri che emigravano in America e pian piano diradavano lettere e comunicazione con i parenti italiani fino a sparire del tutto, quella della madre della scrittrice. Quest’ultima raggiunge il suo acme in un viaggio quasi folle di ricerca disperata di questo padre assente, che segna invece per l’autrice un imprescindibile e doloroso momento di crescita, sutura definitiva tra l’infanzia e l’età adulta, durante una notte di coprifuoco a Buenos Aires, a poche ore dal colpo di stato del generale Onganìa. Non sarà comunque questa la narrazione principale e, in un certo senso, è un peccato poiché le pagine più belle del romanzo appartengono proprio a questa sezione, là dove si avverte una profonda verità conquistata a fatica, in uno scenario tutt’altro che docile.

Dal punto di vista stilistico c’è un incipit portentoso: «Madre, quando mi fermo davanti alla casa dove sei nata, la prima ingrata sensazione è quella di essere una persona senza passato, nata già più che sessantenne su questo sedile d’auto; quasi mi stessi inventando una storia di famiglia in realtà mai avvenuta». Perde, nelle pagine in terza persona, la sua potenza incantatrice, incontrando una semplicità e chiarezza narrativa meno originali. In generale nelle sezioni scritte in prima persona il coinvolgimento emotivo è maggiore, mentre quelle in terza, più marcatamente narrative, sembrano più fredde e controllate. Recupera potenza ipnotica nei capitoli Sulla morte e Sulla grande madre e le piccole madri, dove si avverte una sottile aura di sacralità avvolgere la protagonista creando dunque quella liaison con la famiglia che la ospita e che inizialmente sembrava così distante da lei e dal suo mondo.

«Per un attimo Marina sente un brivido, un timore reverenziale che forse viene da un’altra epoca del mondo, quando gli esseri umani ancora erano capaci di avvertire la voce della divinità».

Il romanzo si srotola in una prosa sempre molto elegante. È un romanzo sull’abbandono, la lontananza, il pregiudizio, la solitudine. È un romanzo in cui la speranza è pregna di rabbia e malinconica solitudine. Un intreccio di storie di esistenze volte all’angoscia della perdita e alla rassegnazione di un futuro senza futuro.

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