Lidia Lombardi
Luttazzi in mostra a Roma

Onore a Lelioswing

Ai Mercati Traianei è esposto tutto il glamour, la classe, lo stile, la gioiosità del poliedrico uomo di spettacolo. E di un'Italia apparentemente spensierata, dove l'ambiguità cominciava a fare i suoi danni. Non ultimo la carcerazione del musicista, detenuto in attesa di giudizio, che fu lo spartiacque della sua vita

Come Giulia Ligresti, anche Lelio Luttazzi è stato un detenuto in attesa di giudizio. E come il 50 per cento delle persone che si trovano dietro le sbarre in Italia. Per il musicista i 27 giorni di carcere furono lo spartiacque della vita. Quando uscì da Regina Coeli era un altro, colpito da depressione e abulia che lo tenneno lontano a lungo dai riflettori. L’ingiustizia subita – Walter Chiari gli aveva chiesto di telefonare a una persona che Lelio non conosceva, era uno spacciatore, e la chiamata fu sufficiente a farlo indagare insieme all’attore, che non ne smentì subito il coinvolgimento – la raccontò in un libro, Operazione Montecristo, dal quale fu tratto il film di Nanni Loy, Detenuto in attesa di giudizio, con Alberto Sordi. Ed egli stesso, Luttazzi, scrisse, interpretò e diresse un’altra pellicola, L’illazione, proiettata per la prima volta al Festival del Cinema di Roma del 2011 diretto da Piera Detassis, quello stesso Festival, ma diretto da Muller, che quest’anno ha chiuso le porte al documentario di Ambrogio Crespi su Enzo Tortora, altra clamorosa vittima di errore giudiziario.

Luttazzi sorride mentre suona il pianoforte in una gigantografia all’ingresso dei Mercati Traianei. Avviene per la mostra Lelioswing che ieri si è aperta al pubblico (fino al 2 febbraio 2014, catalogo Giunti), in una data che mai i promotori (la Fondazione Luttazzi, Roma Capitale) avrebbero immaginato tanto cronologicamente coincidente con gli avvenimenti ricordati sopra. Dei patimenti che lo trasformarono, come lui stesso scrisse, in un “oblomoviano” (il pigro personaggio di Goncarov), c’è appena qualche accenno nella rassegna, nei giornali d’epoca che comunicavano a tutta pagina le manette al divo della tv e della radio, in quel maledetto giorno di maggio 1970, mentre stava per condurre una puntata di Hit parade, sostituito all’improvviso da Renzo Arbore, perché vennero a prenderlo per sbatterlo in cella. C’è invece, nella mostra, tutto il glamour, la classe, lo stile, la gioiosità del poliedrico Lelio Luttazzi. E in filigrana, attraverso di lui, la spumeggiante Italia dal dopoguerra a tutti gli anni Sessanta, da quando gli yankees a suon di jazz ci suonarono che il conflitto era finito a quando trionfavano Mina e le Kessler sul piccolo schermo, le Fiat macinavano chilometri tra Roma e Milano sull’Autostrada del Sole, i juke box facevano ye ye sulla spiaggia, Roma era la Hollywood sul Tevere e succedevano tanti fatti ambigui, in politica, in economia, in magistratura, però eravamo ottimisti e dimenticavamo presto.

C’è uno scorcio antologico di quest’Italia spensierata – e insieme colta, elegante nel modo di far musica e spettacolo – ai Mercati Traianei, nell’allestimento di Bastelli e Colombini ai quali forse sarebbero giovati maggiori spazi tanto è il materiale a disposizione. È nelle sagome di cartone giganti che digradano una dietro l’altra, come scendessero da una osirisiana scala: ci sono Mina e le Sorelle Kessler, Gorni Kramer e Mastroianni. E ovviamente Luttazzi. Erano gli anni d’oro di Studio Uno, da lui a lungo condotto. Gli anni che dopo i successi musicali (da Una zebra a pois a El can de Trieste) avevano fatto di questo “giovanotto matto” (il titolo della canzone che lo lanciò, facendogli guadagnare 350 mila lire), cresciuto a Trieste a ritmo di swing, un divo. Nella sua eleganza, nel suo bon ton l’italiano medio amava specchiarsi. Enrico Vaime lo chiamava «portatore sano di smoking» e aveva ragione perché Lelioswing indossava l’abito con la stessa naturalezza con la quale avrebbe portato casacca e jeans. Così come naturale era il fiore bianco all’occhiello e il gesto della mano a introdurre gli interpreti o i musicisti che facevano spettacolo con lui.

L’esposizione ai Mercati Traianei è divisa in otto sezioni in ordine cronologico. Si parte da Trieste, dove Luttazzi nacque nel 1923 e dove, a 13 anni, scoprì il jazz e la sua vocazione ascoltando Armstrong e poi i ritmi nuovi diffusi durante l’amministrazione a stelle e strisce. Da Radio Trieste dove suonava con “I gatti selvatici” a Milano, portato da Ferruccio Ricordi, alias Teddy Reno, che fondò la Cgd, Compagnia Generale del Disco, e fece di Lelio il direttore artistico. Poi Torino, a dirigere l’Orchestra della Rai, a lavorare accanto a Julia De Palma e Kramer. Ed ecco, dal 1954, Roma, la radio con Bongiorno (Un motivo in maschera), la tv nel mitico Teatro 10, le regie di Antonello Falqui, i balletti, insomma tutti i lustrini di Studio Uno, mentre in radio trascinava i fans come un pifferaio annunciando «Hiiiiiit Parade».

Nel repertorio della mostra riviste, dischi, un jukebok Wurlitzer del 1940 funzionante anche per il pubblico, che può scegliere la canzone grazie all’innesto di un meccanismo di selezione touch screen, il design senza fronzoli di apparecchi radio e tv, un salottino in cui vedere spezzoni di trasmissioni celebri, una saletta con schermo interattivo che permette al visitatore di scegliere un brano di Lelio e eseguirlo con lui simulando il gesto di suonare sulla tastiera. Ma anche spezzoni di pellicole, quelle interpretate da Luttazzi (L’avventura di Antonioni, L’ombrellone di Risi) o quelle per le quali scrisse la colonna sonora: di Monicelli, Totò, Corbucci, Salce.

L’ultima sezione è quella del ritorno in pubblico dopo lo iato del carcere. Umberto Broccoli lo chiama in radio per Parole mie, Bonolis lo vuole nel 2009 a Sanremo dove canta con Arisa, Fabio Fazio, Fiorello e Pippo Baudo lo ospitano nelle loro trasmissioni e lui suona Gershwin, Cole Porter, Carmichael, Kern, i suoi autori di culto.

Ricorda Pippo Baudo: “L’esperienza carceraria lo avrebbe segnato per sempre se non avesse trovato Rossana, la moglie. Fu lei a convincerlo a tornare a Roma da Ceri, il paese vicino la Capitale dove si era confinato. Ricordo una sera, ospite nella casa che avevano affittato a Trastevere. In salotto il pianoforte, che Lelio non toccava più. Mi sedetti alla tastiera, abbozzai le note di Tristemente, la canzone di Jula De Palma. Battevo i tasti peggio di quel poco che sapevo fare, per provocarlo. E infatti lui stizzito mi scansa, si siede e si mette a suonare. Da lì riparte la sua seconda carriera». Culminata col concerto del 15 agosto 2009, a Trieste, in piazza Unità. Sotto le sue finestre e una folla ad applaudire Lelioswing.

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