Erminia Pellecchia
Una mostra a Napoli

Souvenir di Wenders

Il regista tedesco torna in Italia in veste di fotografo. Nei suoi scatti esposti a Villa Pignatelli gli echi di Hopper e Vermeer, all'inseguimento dei "ricordi perduti"

L’immagine come una capsula del tempo, l’orizzonte che sconvolge la percezione del tempo. Wim Wenders fotografo si fa “portatore del tempo”, di un tempo interiore in cui la memoria diventa viaggio iniziatico alla ricerca del senso vero della vita. Ed è con lui, on the road in “luoghi inconsueti e solitari”, che incroceremo il suo sguardo nomade con il nostro, calandoci in una dimensione spazio-temporale straniante, sospesa com’è tra il tutto e il nulla, una linea di confine da attraversare e da superare. Introspettiva ed evocativa, la mostra Appunti di viaggio. Armenia Giappone Germania, visibile fino al 17 novembre alla Villa Pignatelli di Napoli, come scrive Denise Pagano, direttore della Casa della Fotografia ospitata nell’elegante dimora-museo napoletana, “è un gesto d’amore, un continuo interrogarsi sulla condizione umana, la capacità di emozionarsi, di saper vedere, di raccontare”.

Dietro ogni scatto, una storia. È un doppio registro quello su cui si muove l’esposizione, a 18 anni dall’ultima personale in Italia, dedicata al Wenders fotografo: la forza dell’immagine e la parola scritta, solida ed inoppugnabile che si fa garante dell’immagine stessa, come osserva la curatrice Adriana Rispoli. La raccolta è formata da venti fotografie realizzate negli ultimi dieci anni di ricerca, tutte di grande formato per creare una maggiore empatia con lo spettatore che non può che immedesimarsi ed entrare a far parte della scena. Ognuna è accompagnata da brevi frasi dell’autore, il diario di un viaggio fisico e poetico in “costellazioni impossibili”, dove il “senso del luogo – confida l’artista nel suo taccuino – è impostato su tutto ciò che è fuori luogo. Alcuni luoghi che ho fotografato stanno per scomparire, forse sono già scomparsi: il loro ricordo dovrà aggrapparsi alle immagini che abbiamo di essi”.

foto wim wendersIl potere del linguaggio si riscontra negli stessi soggetti fotografati. La serie “Places, strange and quite”, dal titolo dell’ultima pubblicazione del regista tedesco (2011) parte da un palazzo del vecchio quartiere ebraico di Berlino devastato dai fori dei proiettili della II Guerra Mondiale e sostituito dopo vent’anni da un negozio di souvenir. Wenders ne sublima il ricordo dall’inevitabile dissoluzione, così come fa con la raffigurazione delle scritte sui muri della sua Germania dopo la caduta del Muro come “Eternal Frienship with the People of the Soviet Union” e “Crush Capitalism”.

Atmosfere sospese, paesaggi desolati e disabitati: una ruota panoramica che si incastona nello sconfinato deserto dell’Armenia, una piazza piena di macerie, un monastero smontato pezzo per pezzo che sembra essere stato rimontato dal sole, la luce è quella di Hopper, ma è anche quella di Vermeer. Ed ecco il monumentale alfabeto armeno con le sculture che si disegnano nell’infinito, ecco facciate architettoniche decadenti con squarci aperti sull’altrove, un distributore di benzina abbandonato, un cartellone polveroso, una foresta silenziosa, il mistero della linea appena percepibile dell’orizzonte sul mare di Naoshima, il desiderio di perdersi e di solcare altri oceani nella mappa inquieta di un animo errante. Spaesamento, vertigine.  Paesaggi naturali e urbani dove l’uomo è assente. Del suo passaggio restano le tracce, un ombra, un sussurro. Wenders ci invita ad ascoltare quei segni, a sentirne il richiamo e a riscriverne la storia.

Facebooktwitterlinkedin