Nicola Fano
A 71 anni è morto Lou Reed

Ricordando un poeta

Addio a uno dei protagonisti della cultura del secondo Novecento. Colui che portò la musica nella grande famiglia delle arti e delle avanguardie. Da "maledetto" a "venerato maestro"

Intanto, sesso droga e rock’n’roll l’ha inventato lui. E non era solo un modo di dire. Lou Reed, morto a 71 anni, era un protagonista degli eccessi. Eccesso creativo, beninteso. La voce roca, le mosse lente, le parole strascicate: credo che Bruce Springsteen abbia imparato da lì, chissà se lo dirà, adesso. E pure certo maledettismo musicale prende le mosse da Lou Reed; il quale tuttavia era un “maledetto” moderato. Nel senso che il gusto per il palcoscenico, per la ricerca, per la comunicazione delle idee prendeva sempre il sopravvento. Per fortuna.

Lou Reed, Velvet Undreground, New York City, Andy Warhol… era un crocevia di esagerazioni e di culture. Un luogo dove sembrava che tutto potesse mescolarsi generando energia un’altra per l’altra. C’erano idee da mettere in comune, esperimenti da condividere, tentativi da trasferire da un linguaggio all’altro. I critici, poi, l’hanno chiamata interdisciplinarità. Ma è solo un’etichetta perché sempre e dovunque le comunità di artisti hanno mescolato le carte. I pittori con i poeti con gli scrittori con gli attori: le avanguardie sono fatte così, ci si lega in base a un’idea e la si declina ognuno secondo la propria sensibilità. La novità (New York City anni Sessanta) era che nel miscuglio di arti entrò anche la musica. Quella che prima di allora era stato un intrattenimento da ballo (il rock’n’roll) o una rivendicazione di classe (il jazz) era entrato definitivamente nell’empireo delle arti. Arti d’avanguardia, per di più. Con conseguente orrore per le melodie facili (benché poi Walk on the Wild Side stava nell’orecchio che era una bellezza). Forse era anche una reazione di stizza: le melodie contemporanee dei Beatles erano inarrivabili per chiunque, sicché bisognava inventarsi qualcosa d’altro.

Poi vennero gli anni della controcultura. Quelli psichedelici, dei Nice, dei Pink Floyd e tutto il (meraviglioso) resto. I nomi metteteli voi: tanto avete capito. E Lou Reed prese una strada più defilata, contorcendo ancora di più la propria voce e ostentando un’arte politica fatta di omosessualità e impegno. Scelta che lo portò ai margini del suo stesso maledettismo, fino a trasformalo in un venerato maestro. Come quando prestò la sua voce a una splendida operazione collettiva di recupero di Kurt Weill. E da “venerato maestro” se n’è andato, senza troppo clamore, lasciando tuttavia molti orfani non solo tra i suoi fans ma anche (se non soprattutto) fra tutti gli altri che magari lì per lì pensavano a lui come a un provocatore ma che poi hanno capito che era un po’ più avanti.

Clicca qui per leggere il ricordo del nostro critico musicale Stefano Bianchi

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