Nicola Fano
Parla uno dei giuristi coinvolti

Le balle del Valle

Una fortuita (e fortunata) conversazione con uno dei giuristi che lavora al fianco degli occupanti sul concetto di "bene comune" svela due equivoci: che il Valle fosse chiuso da anni prima di essere espropriato e che stesse per essere trasformato in un supermarket...

Per un caso fortunato e fortuito, lo scorso finesettimana ho assistito a un convegno economico-giuridico fra i cui relatori c’era anche uno dei professori di diritto che sta aiutando gli occupanti del Valle a stilare un regolamento interno (lo Statuto della fondazione) che formalizzi il concetto di “bene pubblico”. Ho avuto una lunga conversazione privata con questo professore sulla questione Valle e ho chiarito a me stesso (anche a lui, spero) alcuni equivoci di fondo della faccenda. Vi racconto i punti salienti della mia chiacchierata senza citare il nome dell’interlocutore, dal momento che la nostra lunga discussione è avvenuta tra due commensali, non tra un giornalista e un professore di diritto (benché entrambi avessimo chiari i rispettivi ruoli).

Ebbene, il tema centrale della polemica è la definizione del concetto stesso di “bene comune”. Ho esordito, provocatoriamente, chiedendo a chi fosse “comune” il bene Teatro Valle, dal momento che alcuni ne dispongono (illegalmente per altro) e altri no. Mi ha risposto il Professore: “Ogni occupazione è illegale, su questo non ci sono dubbi. Anche i nostri figli che occupano le scuole commettono un illecito, eppure si tratta di forme di protesta spesso feconde di nuove idee e nuove energie”. Ovviamente ho obiettato che un’occupazione può essere “feconda” se dura poco, ma se va avanti per due anni si trasforma in un esproprio. Ma lui: “Quello che sostiene il concetto di bene comune non è la proprietà ma la funzione. E la funzione da garantire per un luogo come il Valle è quella culturale e teatrale. Il Teatro Valle rischiava di essere trasformato, di avere un’altra destinazione d’uso”.

Ecco la prima balla, di cui il mio Professore non è colpevole. Del resto non è necessario che un insigne giurista sappia le dinamiche del teatro italiano ed è ovvio che, chiamato in causa da qualcuno, si fidi di ciò che costui gli dice. Il problema è che “costui” gli ha detto il falso. Come si può pensare che il Teatro Valle possa essere trasformato in un garage o in un supermercato? Che cosa facciamo, spianiamo i palchetti? Mettiamo le automobili in mezzo agli stucchi? Pensare che il Valle possa cambiare destinazione d’uso è una semplice idiozia: ci sono sufficienti leggi a proteggere l’incolumità di una sala da teatro del Settecento.

Fatta questa obiezione al Professore, è venuta fuori la seconda balla. “D’accordo, mi ha detto, ma il problema, nel caso del Valle, ripeto, è la funzione. La sua funzione teatrale andava garantita. Se un gruppo di cittadini si appropria di un teatro chiuso e lo fa vivere nuovamente, allora garantisce la funzione originaria di un bene comune. Noi ci siamo occupati di favorire questo aspetto della questione”. Domanda: scusi, professore, ma secondo lei da quanto tempo il Valle era chiuso quando è stato occupato? Dopo una pausa di riflessione, come a cercare la risposto, il mio interlocutore ha risposto: “Mah, mi sembra che fosse chiuso da alcuni anni…”. Ho dovuto spiegare al Professore che il Teatro Valle, quando è stato occupato, era semplicemente in una fase di “chiusura estiva”, ossia era chiuso da qualche settimana… Il problema, semmai, è che dopo la dismissione dell’Eti, nessuno sapeva bene che fine avrebbe fatto il Valle. E, ho spiegato al mio interlocutore, il nodo è tutto qui: per evitare che il Valle tornasse al Comune e il Comune lo destinasse al Teatro di Roma, qualcuno lo ha occupato sperando di strappare alle istituzioni una gestione diversa… Ma che il Valle fosse chiuso da anni e che ne andasse tutelata la “funzione” è la balla colossale sulla quale si fonda l’occupazione.

Ho fatto un’ultima domanda, al mio interlocutore: Professore, come prevede andrà a finire? Mi ha risposto, secco: “L’occupazione del Valle è fallita. Gli occupanti dovevano garantire la funzione culturale del bene comune e invece il bene comune non svolge alcuna attività culturale se non occasionalmente. Non c’è un progetto culturale, non c’è una programmazione: l’occupazione finirà per questo”. Lo spero, ho concluso a mia volta, ma temo che non sarà così e che invece qualcuno degli attuali occupanti otterrà, proprio speculando sul concetto di “bene comune” astrattamente teorizzato, un incarico pubblico. Sottraendo chissà per quanto il Valle al novero dei “beni comuni”…

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