Alessandro Boschi
Visioni contromano

Il cinema ordinario

"Aspirante vedovo", campione d'incassi con la coppia De Luigi/Littizzetto, non è solo il brutto remake del capolavoro di Risi, ma è un film banale. Cercasi idee!

Ci eravamo riproposti di non perderci nemmeno un minuto di tempo, ma non ce l’abbiamo fatta. Per questo, piano piano ma irresistibilmente come diceva Sylvie Vartan, siamo andati a vedere Aspirante vedovo di Massimo Venier. E ci siamo andati caricati a pallettoni, facendoci al tempo stesso degli scrupoli: non è bene andare a vedere un film prevenuti, ci siamo detti. Macché, dopo poco ci siamo resi conto che i pallettoni sarebbero stati petali di rosa: un’alabarda spaziale ci sarebbe voluta! Ad essere sinceri non ci stupisce nemmeno l’incasso, davvero notevole, della pellicola: ben oltre un milione di euro, secondo solo a Cattivissimo me 2. Non ci stupisce perché il cinema è davvero, sempre più, un fenomeno inspiegabile.

il vedovoImmaginiamo che pochissimi degli spettatori conoscesse l’originale di Dino Risi, Il vedovo, non aspirante. Be’, colmate questa lacuna. A proposito, ci sembra piuttosto risibile la dichiarazione degli autori che affermano di essersi solo ispirati al film interpretato da Alberto Sordi e Franca Valeri.  Sì, come no, solo ispirati! E allora ispirati davvero male, perché non c’è nulla di quella satira graffiante dell’originale, non c’è la gustosa contrapposizione morale, regionale e sociale dei due protagonisti. Infinitamente più credibili dei due bolsi replicanti: tu non credi mai che Fabio De Luigi (con l’accento romagnolo) possa davvero riuscire solo a pensare di far fuori la moglie, e tu non credi mai che Luciana Littizzetto sia una spietata e antipatica (oddio…) manager milanese. Tanto è vero che declina molte delle sue battute in torinese (nemmeno piemontese) stretto. “Gnugnu” che sostituisce “cretinetti” è un vero e proprio abominio.

Non parliamo poi dei personaggi di contorno, che nemmeno sono confrontabili perché nel film non esistono proprio, talmente defilati sono. Ma è tutto l’impianto che delude, forse sarebbe stato meglio fare un remake, dichiararlo, e prendersi i rischi di un eventuale probabile fiasco, ma anche la possibilità scoperta di contare su di un impianto narrativo solidissimo. Così Aspirante vedovo resta una scialba commediola come se ne vedono tante, senza capo né coda, che ha come macchia indelebile l’essersi “ispirato” a uno dei capolavori della commedia all’italiana. Magari esageriamo, ma per noi è stata una vera mancanza di rispetto. È come svendere i gioielli di famiglia.

Poi ci sarebbe tutta la storia dei remake, se sia giusto farli oppure no, se siano la spia di una mancanza di idee o il modo di arricchire un’idea magari già buona migliorandola. Ma questa poi diventerebbe accademia, e comunque il remake ha origini davvero lontanissime, quasi impensabili. Non è certo questo il punto. Quello che abbiamo capito, perché ci sembra giusta chiuderla qui, è che le idee continuano a latitare nel nostro cinema, come già autorevolmente sostenuto dal direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera il quale, giustamente, ha impresso alla sua manifestazione una decisiva svolta documentaristica, vedi Leone d’oro e non solo.  Ci viene in mente un epiteto così raffinato da non sembrare un insulto, che Franca Valeri rivolge ad un maleducato automobilista (o era una moto?) che rischia di investirla nel film, sempre di Dino Risi, Il segno di Venere: “ordinario!”. Che, vedete, non sembra proprio un insulto, ma in realtà è qualcosa di peggio, perché chi è “ordinario” non sa mai di esserlo e si bea della propria ordinaria condizione.

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