Pierre Chiartano
Lettera da Tunisi

Democrazia araba

Intervista con Abdhu Fattah Mourou, uno dei protagonisti della rivoluzione che ha travolto Ben Ali. "Non c'è tradizione democratica in questa parte di mondo; noi ce la stiamo inventando. Ma bisogna che l'Occidente accetti le nostre regole"

Non si sono ancora spente le luci dell’incontro tra il presidente tunisino Moncef Marzouki con Barack Obama, lunedi a New York, che la cronaca politica ci ricorda dello stallo continuo (o apparente) della situazione a Tunisi. Terza gamba del progetto di democrazia araba nel mondo islamico con Turchia ed Egitto, la Rinascita (Ennahda) che nel 2011 aveva vinto le elezioni dopo la rivoluzione contro il dittatore Ben Ali, sembra essere arrivata al capolinea. Ne è convinto uno dei suoi fondatori assieme a Rashed Gannouchi. Abbiamo raggiunto Abdhu Fattah Mourou (o Muru) nella sua abitazione del quartiere di La Marsa a Tunisi. Piccolo giardino in stile andaluso e salotto con broccati orientali. Un eloquio appassionato, a tratti potente, come si conviene a un frequentatore di aule di giustizia. Avvocato, politico, credente sopra ogni altra cosa – naturalmente – ma anche attento osservatore di ciò che accade intorno alla politica, Mourou non lesina critiche la partito da lui fondato nel 1981. Il politico tunisino ha conosciuto anche le patrie galere sotto la dittatura. In un alternanza tra lotta politica e manette fatta per piegare la volontà. Ma quando Ali ha preso il volo lui era ancora nel paese.

“Spero che il governo di Ennahda (e della cosiddetta trojka) si dimetta, che venga pure l’opposizione a risolvere i tanti problemi che il paese deve affrontare”, spara subito ad alzo zero Mourou. L’eredità lasciata da Ben Ali e così pesante che servirà molto tempo e un impegno infinito per riportare il paese sulla carreggiata dello sviluppo. Per la democrazia servirà ancora più tempo. Il 50 per cento dell’economia tunisina è costituita dal “sommerso”, la corruzione è diffusa a tutti i livelli, un grande freno per gli investimenti stranieri. Gli interessi esterni al paese si fanno sentire con voce sempre più forte.

Ma veniamo ai retroscena della politica che hanno visto scandire gli ultimi mesi con omicidi politici, quello di Chokri Belaid e poi quello di Mohamed Brahmi, e continue manifestazioni di piazza contro il governo. Ma anche a sostegno, ad essere onesti numericamente più consistenti.

Ad agosto Gannouchi era andato a Parigi per trattare con Beji Caid Essebsi, capo dell’opposizione. Rumors davano per fatto l’accordo: dimissioni del governo, elezioni a fine anno, Essebsi nuovo presidente, sblocco di circa  30 miliardi di euro d’investimenti esteri.  “Ma è andato senza un pieno mandato del partito”. Ribatte subito il politico musulmano, spostando lo sguardo fino ad allora puntato alla finestra verso chi gli poneva la domanda. “Essebsi presidente è solo un dettaglio, il punto delle trattative è trovare un accordo tra Ennahda e Nida Tunis (laico-secolarista), il movimento di Essebsi. Parigi ha visto un accordo di vertice, ma la base dei due partiti non ha accettato il patto”. Insomma, in Francia si chiude la trattativa, magari con l’esercizio di pressioni dal sapore ricattatorio, a Tunisi la base rimette tutto in gioco. Ma ci sono dubbi su come andrà a finire?

“C’è ora una guerra con l’opposizione. Chi vincerà le elezioni non ha importanza. Come del resto è già avvenuto. Ora dipende da chi ha più potere. Potere d’interdizione, potere di creare problemi nel paese, di fomentare crisi. In parole povere in potere di ricatto”. Su questo punto Mourou è estremamente chiaro e rimanda un’immagine del paese che ha come sfondo le proteste del Bardo, gli scioperi dello Jtt (il maggior sindacato tunisino) le accuse (infondate) lanciate dopo gli omicidi Belaid e Brahmi verso Ennahda. Da una parte esiste una narrazione che vede Ennahda incapace di governare per mancanza di una classe dirigente, un punto sostenuto anche dal politico/avvocato, dall’altra interessi che vorrebbero caricare il movimento islamico di colpe non sue e, aggiungiamo noi, i salafiti che essendo ultimi nella catena del potere dovranno portare il loro fardello di “colpe” regalate dai giochi della politica.

I tre  pilastri del progetto di democrazia islamica, vedono l’Egitto “smantellato”, la Turchia con un po’ di febbre. Sarebbe utile dare un’occhiata nella cartella clinica del più piccolo paese maghrebino… “La Turchia ha una lunga tradizione di democrazia che nei paesi arabi non esiste. Ora stiamo provando a costruirla, ma non ce lo lasciano fare. Poi vorrei sottolineare qualcosa di molto importante, oserei dire fondamentale. Gli apparati della pubblica amministrazione in Tunisia come in Egitto non amano questi cambiamenti e sono stati un forte freno all’azione di governo. In più l’Occidente non vuole che nessun partito islamico gestisca la politica. Perché è qualcosa di nuovo, spontaneo e non controllabile, perciò spaventa l’Occidente. In più molti pensano che l’islam non sappia coniugare la politica con la salvaguardia dei diritti dell uomo e della donna, così sono pronti ad appoggiare ogni colpo di stato anti-islamista. L’idea sarebbe quella di trasformare i movimenti islamici in una minoranza, nella politica e nella società”. Dunque Mourou punta il dito e accusa un Occidente che di errori ne sta facendo molti nel mondo islamico. Ma forse il male non sta tutto da una parte.

Poi il politico tunisino parla del grande “nemico”: il secolarismo. Un problema anche per il Vecchio continente quando è stato a lungo coniugato come un’ideologia in salsa comunista e di alcune correnti liberali (ad esempio quello francese e di alcune frange italiane e tedesche) ma distingue in Europa  due correnti. Prima però mette subito in chiaro un punto. “Non c’è match tra islam e cristianesimo” e qui mostra sicuramente un limite nel dialogo politico, soprattutto con l’Occidente. Ammesso che questa posizione venga poi tradotta in politica e non rimanga invece, come auspicabile, nell’ambito della fede. E prosegue: “Non è vero che l’islam abbia impedito lo sviluppo delle scienze”. L’immagine storica del mondo musulmano andrebbe dunque aggiornata. Anche se, aggiungiamo, dovremmo entrare in un discorso più complesso. Cioè di come nella “miscela” musulmana gli equilibri tra le componenti tradizionaliste, filosofiche e metafisiche abbiano nei secoli determinato il prodotto finale. Di come la predominanza di una o più componenti sulle altre abbia nel tempo determinato, in maniera determinante, lo “stile” musulmano. Ma torniamo all’Europa e al “benedetto” secolarismo. “Esistono due secolarismi da voi, quello inglese che accetta e tollera la religione. E quello di marca francese che semplicemente non considera la religione come declinabile con la modernità”. Sembra di ascoltare il filosofo (cattolico) Augusto del Noce…

Ma Ennahda toglierà il disturbo? “Sì, questa e una situazione che non può gestire. Sarà un’ occasione per il partito per prepararsi in maniera adeguata alle prossime sfide”. Ora entriamo in un argomento controverso, nel senso, che non è chiaro perché in un primo momento, dopo la rivolta, Mourou avesse abbandonato il partito per poi farvi ritorno. “In realtà sono loro ad avermi fatto fuori. Pensavano di avere maggiori diritti del sottoscritto perché avevano sofferto di più la prigione – Mourou si è fatto solo due anni in carcere –  e l’esilio. Mi sono svegliato una mattina e scorrendo i nomi del direttivo di Ennahda non ho più visto il mio nome. Ma io sono in grado di comprendere meglio di loro la situazione politica tunisina perché non ho mai lasciato il paese. Sono tornato perche ho sentito la responsabilità della ricostruzione del partito, visto che sono uno dei fondatori del movimento”. Sulle capacità della squadra di governo c’è spazio anche per il sarcasmo. “Ma possiamo pensare che il premier Layaredieh abbia esperienza? Non sono capaci di comunicare con i media e non sanno comprendere le regole della politica”.

In Egitto la Fratellanza musulmana condivide gli stessi problemi? “Mi faccia cominciare dalla Brotherehood tunisina. È un movimento circolare, non aperto alla società per cui ha difficoltà a comprenderla. È come una società dentro la società. La Fratellanza è un movimento orizzontale senza vertici. Per governare serve una classe dirigente selezionata e competente. In Egitto il problema è la totale cesura tra movimento e classe dirigente del paese che conseguentemente si è messa di traverso a un cambiamento che non comprende e che teme”.

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