Nicola Fano
Il conflitto tra realtà e creazione artistica

Il poeta postumo

Il giorno di ferragosto è morto Sławomir Mrożek, uno scrittore di teatro polacco. Era un uomo di un'altra epoca, sopravvissuto (a stento) al Novecento. Dimenticato, ma proprio per questo attuale...

Il giorno di ferragosto è morto Sławomir Mrożek, autore di teatro e scrittore polacco. Quando ho letto la notizia mi è venuto subito da chiedermi: possibile che Mrozek fosse ancora vivo? Sono dovuto andare a controllare, tanto il suo nome e la sua memoria appartenevano al passato: lo immaginavo uno scrittore della generazione di Beckett e Ionesco e invece aveva gli anni di Pinter; era nato nel 1930. Ed era vero: Sławomir Mrożek è morto proprio il giorno di ferragosto.

Di Mrożek so qualcosa di più di quel che c’è scritto su Wikipedia (anche se non è questo – qui – il problema che mi interessa suggerirvi): la sua vicinanza al teatro dell’assurdo, la sua militanza comunista. Ma per lui non valeva una regola che negli anni Sessanta e Settanta andava per la maggiore quando si diceva che “per essere marxisti senza essere stalinisti bastava essere brechtiani”. Per il semplice fatto che Mrożek non era brechtiano: la realtà è una cosa, il teatro è un’altra. Tanto l’una è certa e definita in virtù di un inizio e una fine, tanto l’altro è indefinibile. Insomma, Mrożek preferiva stupire piuttosto che educare. A chi sia capitato vedere in scena qualche suo testo (penso a Emigranti, a Il macello: negli anni Settanta ci fu un breve periodo nel quale andò di moda nelle cantine romane…) sa di quale “irrealismo” qui si stia parlando. Perché probabilmente Mrożek non era un autore dell’assurdo, era solo uno scrittore di teatro polacco cui il regime impediva di parlare apertamente della realtà. Tutti i regimi hanno sempre fatto lo stesso effetto ai poeti.

Ma la ragione per cui vale la pena parlarne qui è un’altra rispetto alla semplice storiografia teatrale. È che Mrożek era un sopravvissuto a troppe stagioni della storia, del teatro, della letteratura. Per lui vale la meravigliosa categoria inventata da Giulio Ferroni: era un poeta postumo. Proprio perché la realtà – quella che lui non voleva riverberare nel suo teatro – lo aveva oltrepassato e forse abbandonato molto prima che egli potesse riflettere su ciò. La caduta ingloriosa del comunismo (specie in Polonia) ha lasciato sotto alle rovine anche Mrozek e quell’ambiguità dolente che prendeva chiunque potesse opporsi ai regimi dell’Est europeo solo in un modo che contemplasse la sopravvivenza. Eppure lui era “postumo” non solo al comunismo, bensì anche al post-comunismo. Ve lo immaginate il sottile caos teatrale del Macello (una specie di giallo senza senso che sotto alla condanna del capitalismo nascondeva l’analisi di un’umanità vincolata solo al profitto) ai tempi di Solidarnosc e di Wojtyla? No. Vi pare possa avere un senso la dialettica sottile tra realtà e finzione sostenuta da Mrożek (ma prima di lui da Gombrowich e poi da Ionesco, sia pure in modo differenti) ai tempi del fascismo di ritorno dei fratelli Kaczynski? No. Per il semplice fatto che la caduta del comunismo ha scombinato tutte le categorie (culturali) del Novecento: Mrożek era un sopravvissuto a tutto questo.

Le notizie che hanno circolato in questi giorni dicono che è morto a Nizza. Lì per lì ho cercato un po’ in rete qualche indicazione per capire se vivesse abitualmente in Polonia o no. Mi sembrava non fosse un’informazione da poco, perché pensavo servisse a stabilire se Mrożek fosse consapevole della propria condizione di “postumo”, standosene defilato lontano dalla terra delle sue contraddizioni, oppure no. Ma poi mi sono reso conto che in fondo non importa: siamo tutti postumi, tutti sopravvissuti al Novecento, anche se cerchiamo di scappare da questo nostro destino.

Facebooktwitterlinkedin