Nicola Fano
Rieletto Napolitano: una vittoria per chi?

Pd, il lungo addio

La cosiddetta sinistra italiana ha fallito definitivamente. Non ha saputo dare un corso dalla voglia di trasformazione chiesta dalla maggioranza degli italiani con il loro voto. Quella parte di noi che crede ancora nella responsabilità individuale e nella solidarietà sociale non ha più rappresentanza politica

Prima o poi, Bersani dovrà spiegare ai suoi elettori perché non ha fatto votare Stefano Rodotà. E allora sarà interessante saperlo… Per ora si può dire che l’operazione politica (democratica, altro che golpe!) che ha trattenuto l’ex leader migliorista al Quirinale è fallimentare. Perché? Vediamo. Giorgio Napolitano è l’uomo che ha sconfitto Berlusconi con la politica (Prodi per due volte lo aveva sconfitto con i voti): questo merito gli sarà riconosciuto dalla storia. Giorgio Napolitano, poi, è l’uomo che ha smascherato il bluff politico-culturale della Lega (gestendo in modo mirabile le celebrazioni per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia): anche questo merito gli sarà riconosciuto dalla Storia. Giorgio Napolitano, ancora, è un uomo che ha salvato l’immagine etica dell’Italia nel mondo mentre altri (Berlusconi, soprattutto) la infangavano: anche questo merito gli sarà riconosciuto dalla storia. Giorgio Napolitano, infine, è stato un sicuro riferimento morale in questo nostro Paese perso alla deriva dell’immoralità diffusa: non è detto che la sua battaglia sia vinta (anzi…) ma certo se non siamo ancora affondati lo dobbiamo quasi esclusivamente a lui. Insomma, di Napolitano s’ha da dire ogni bene possibile. Ma la sua proroga al Quirinale, seppure dovesse essere, auspicabilmente, breve non è un buon segnale lanciato al Paese. Per tre ragioni.

Primo. Perché è il frutto dell’impotenza di una parte della classe dirigente di questo Paese che ha perso il contatto con le nuove generazioni e si ostina a non volerlo recuperare. L’operazione Napolitano bis allontana ancora di più i cittadini dalle istituzioni, invece di riavvicinarli, come pure qualcuno penserà: semplicemente noi cittadini pensiamo che la classe dirigente politica non abbia saputo risolvere un problema. L’ennesimo.

Secondo. Tra i tantissimi meriti politici di Giorgio Napolitano c’è anche un demerito: quello di aver insistito oltre ogni ragionevolezza sulla necessità di mantenere in vita il governo Monti in nome dell’unità politica nazionale. Salvo che nessuno dei contraenti del patto che aveva portato Monti a Palazzo Chigi (Berlusconi, Bersani e Casini) avevano più interesse a fare unitariamente politica. Sennonché dal marzo del 2012 in poi il governo Monti non ha potuto fare più alcunché di utile per il Paese. Meglio sarebbe stato andare alle urne nella primavera dello scorso anno: oggi non saremmo a questo punto. Ma Napolitano insistette così tanto che le Camere (quelle che avevano dichiarato urbi et orbi che una prostituta diciottenne era la nipote di Mubarak, rammentiamolo) non furono sciolte e il Paese ha affidato alla loro palese, conclamata stoltezza la gestione di una crisi gravissima. Che infatti non è stata né gestita né risolta: per dodici mesi il Parlamento non fatto niente. Salvo incassare regolarmente lo stipendio a fine mese. Ebbene, se la (momentanea) conferma di Napolitano significa che si proseguirà su quella linea della (falsa) coesione politica, allora per noi italiani sarà la rovina. Non solo economica, probabilmente.

Terzo. Quella parte (minoritaria) di italiani che credono nella responsabilità individuale rispetto alla società, che credono (seppure blandamente) nei valori della solidarietà sociale, che pensano che non si viva di solo profitto e lucro, di furbizia e ballerine, di comici sciocchi e truffe ai danni degli altri… tutti questi italiani non hanno più rappresentanza politica. La “soluzione Napolitano bis” è il fallimento definitivo della classe dirigente dei partiti della sinistra italiana: D’Alema, Veltroni, Bersani, Fassino… tutti costoro non hanno saputo far altro, nel corso dei decenni, ormai, che continuare nell’equivoco berlingueriano del “compromesso storico” tra progressisti e moderati. Salvo che i “moderati” nel nostro Paese, gli autentici “moderati” (quelli che erano maggioranza ai tempi di Berlinguer), oggi sono diventati una minoranza ancora più ristretta dei progressisti. In vent’anni di cura berlusconiana la maggioranza degli ex-moderati italiani è scivolata su posizioni estreme che mescolano: immoralità, razzismo, menefreghismo, menzogne di vario genere, incompetenza, violenza, supponenza. Basta leggere i titoli del Giornale e di Libero ogni giorno per rendersene conto. Per imporre un regime morale a questa maggioranza c’è bisogno di maestria politica: quella che D’Alema, Veltroni, Fassino, Bersani e tutte le loro truppe di dirigenti sempre più scadenti non hanno mai avuto. Sennonché oggi gli elettori possibili di un partito “democratico” non hanno partito. E, ciò che è peggio, i vari D’Alema, Veltroni, Fassino, Bersani &Co. non lo sanno, non lo hanno capito. Si illudono ora di mandare i loro caporali in un governo presieduto da Giuliano Amato (ex luogotenente di Craxi, uomo per tutte le stagioni, vero simbolo vivente della sconfitta storica della sinistra in Italia) e così di mantenere qualche posizione di potere. Salvo che la prossima volta a votarli non ci sarà più nessuno e la partita politica del futuro si completerà nelle due facce delle stessa medaglia (profitto e incompetenza): Berlusconi e Grillo. Peccato.

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