Marco Scotti
Dietro le quinte di un Don Chisciotte della grande finanza

I mulini a vento di Della Valle

La battaglia per il controllo di Generali? Persa. La battaglia per la conquista del Corriere della Sera? Persa. Perché il principe del lusso ha sbagliato le sue strategie più recenti? Forse perché vede giganti (soprattutto) dove non ce ne sono...

Pare di vederlo Diego Della Valle, imprenditore marchigiano di enorme successo, correre incontro alla sua ennesima battaglia contro quelli che lui crede essere mulini a vento, ma che in realtà sono temibili giganti. Ma come? Il cavaliere partorito dal genio di Cervantes si scagliava contro mulini a vento che scambiava per giganti. Vero. Come è vero che gli errori strategici di Della Valle fanno pensare che troppe volte abbia sottovalutato quegli avversari che gli si sono parati davanti. Chi sono questi “giganti” (anche se sulla loro statura ci sarebbe molto da discutere)? Coloro che popolano i salotti buoni della finanza, i consigli di amministrazione di quelle società che rispondono sempre agli stessi signori: Rcs, Generali, Mediobanca. Basta leggere i nomi dei consiglieri di amministrazione di queste società per avere la sensazione di un continuo déjà vu.

generaliFacciamo un salto indietro di un paio d’anni. Siamo nel 2011 e Cesare Geronzi, uno dei banchieri più potenti d’Italia, ha scelto di sedere alla testa del Leone, le Assicurazioni Generali di Trieste. Ma le cose non vanno, il principale azionista della società che diede lavoro a James Joyce, Mediobanca, per bocca dei suoi manager più influenti (Nagel e Pagliaro) non vuole più saperne di Geronzi. Che, oltretutto, è inviso anche all’amministratore delegato di Generali Giovanni Perissinotto. Ma i tre insieme non bastano, serve la spallata di un uomo che i soldi ce li ha davvero e non si limita soltanto a gestirli. E chi meglio del cavaliere bianco Diego Della Valle, da sempre favorevole a un rinnovamento (e ringiovanimento) della classe dirigente della finanza? Così, il patron di Tod’s arma il suo cavallo e si getta nella pugna con l’intento di scalzare Geronzi dal suo posto e, al contempo ottenere alcune fiches interessanti da spendere. Su tutte, la possibilità di aumentare la propria quota in Rcs, la società che edita Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport e che, proprio in questi giorni, sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia ultracentenaria.

Le cose però non vanno come Della Valle vorrebbe, e dopo la sua campagna ad alzo zero contro Geronzi, i risultati raccolti non sono quelli auspicati. Anzi, la considerazione del cosiddetto “salotto buono” della finanza nei suoi confronti continua a essere bassina, tanto che a più riprese Della Valle viene sostanzialmente invitato a mantenere la calma e un profilo più basso. Ed è qui l’errore strategico che il proprietario della Fiorentina commette e continua a commettere: non capisce che lanciarsi ventre a terra contro i poteri forti, in un paese come l’Italia in cui i nomi che circolano attorno alla finanza sono sempre gli stessi, è masochismo puro.

todsIntendiamoci, la battaglia di Della Valle avrebbe più d’una ragione: intanto, perché provare a smuovere le acque in un mondo cristallizzato come quello della finanza nostrana è senz’altro un intento nobile. Ma sconta, oltre che l’impossibilità – almeno per ora – di scalfire questo sistema, la provenienza di Della Valle stesso. Che non è un uomo della strada, ma, anzi, persona profondamente radicata all’interno di un tessuto economico ben preciso.

È un punto nodale della battaglia di Della Valle contro il mondo: deve decidere da che parte vuole stare. Perché se la sua storia professionale gli permetterebbe tranquillamente di fare il “battitore libero”, essendo a capo di una delle poche aziende italiane che continuano a produrre utile e, al tempo stesso, non hanno bisogno della stampella delle banche, non va però dimenticato che la pervicacia con cui cerca di entrare nei salotti buoni lo riporta sulla stessa linea di quelli che cerca di combattere e che, di conseguenza, gli imputano la sua non alterità al sistema.

Ultimo a bacchettare Della Valle è stato John Elkann, il numero uno di Fiat che siede in svariati consigli di amministrazione e che ha rispedito al mittente, con pesante bordata, la proposta di una revisione del patto di sindacato in Rcs, che scadrà nel 2014. Il patto di sindacato, termine che appartiene a quella logica tanto cara alla Mediobanca di Enrico Cuccia, è un patto parasociale che norma i rapporti interni ad aziende quotate. In due parole, nel caso di Rcs, esiste un nocciolo duro di aziende che detengono un pacchetto di azioni tale da poter nominare l’intero consiglio di amministrazione e, di conseguenza, da potersi difendere da eventuali attacchi provenienti dall’esterno. Gli aderenti al patto di sindacato, infatti, detengono una quota pari al 65% delle azioni complessive. Questo significa che se anche qualcuno riuscisse a rastrellare il restante 35% (tralasciando per un momento le regole della Consob in materia) si ritroverebbe in minoranza e, per di più, fuori dal consiglio di amministrazione. Della Valle però scalpita, vorrebbe aumentare il proprio peso all’interno di Rcs e prova a chiedere la revisione del patto di sindacato. Elkann lo gela: “C’è bisogno di responsabilità, una modifica degli accordi del patto parasociale non è all’ordine del giorno fino al 2014”.

Ecco, Della Valle viene stoppato ancora una volta da quei poteri che osteggia e blandisce, che invidia e disprezza, in una costante dicotomia che rischia di rendergli tutto più difficile. Se potessi rivolgere un consiglio, assolutamente non richiesto, all’imprenditore marchigiano, mi permetterei di segnalargli alcune mosse che potrebbero essere più azzeccate. Prima di tutto, continuerei a puntare su ciò che sa fare meglio, cioè il lusso: perché non provare ad accaparrarsi qualche azienda di pregio del comparto, mantenendosi però sui binari? È la strategia attuata da Arnaud e Pinault, i due imprenditori francesi che figurano stabilmente nella top ten dei più ricchi del mondo. Ecco, se Della Valle provasse ad allontanarsi da quei salotti che, oltretutto, si stanno rivelando investimenti poco proficui, sicuramente ne trarrebbe enorme beneficio. E potrebbe tuonare, ormai completamente alieno da logiche poco trasparenti, contro i poteri forti del nostro Paese. Vuoi mettere la soddisfazione?

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